Un applauso che sembra non finire mai accoglie Alessandro Baricco nella “Sala D’Oro”. È emozionato e lo sono anche i suoi lettori. È la prima apparizione pubblica dopo la malattia e l’autore di “Oceano Mare” non ha scelto un luogo qualsiasi. Al Salone del Libro c’è sempre stato, sin dalla prima edizione: “Quando ancora gli scrittori non erano abituati a raccontarsi sul palco e su altri media – scherza Baricco. – Era strano sentire in una trasmissione radiofonica anche un grande autore come Calvino”. Spiega che non erano abituati, che era tutto diverso. E porta con sé una grande novità: ha finito di scrivere il suo ultimo romanzo.
“Dire di cosa si tratta effettivamente è inutile. Quando inizierete a leggere il libro, ad un certo punto direte ‘Ah certo! È un western metafisico!’. L’ho iniziato nel 2019 per il semplice amore del gesto di scrivere, non mi sono mai imposto di pubblicarlo. Quando l’editore mi chiedeva quando l’avrei concluso rispondevo con suoni gutturali”.
Non svela né il titolo né la data di uscita. Ma racconta che in mezzo ci sono state tante cose, prima la pandemia e poi la diagnosi della leucemia. “E lui stava lì. Ogni tanto mi ci mettevo… e ora è finito. È differente rispetto ai miei altri libri. Io ho sempre costruito mondi: mi sono inventato una locanda sull’oceano, un pianista che non scende mai dalla nave. Questa fatica di fondare mondi è molto diversa dallo scrivere su qualcosa che, di fatto, esiste già. Come, ad esempio, può essere il contesto western”. Intanto i lettori in sala già si interrogano su quel “metafisico”. Qualcuno prova ad immaginarlo.
Accompagnato dalle domande di Marco Missiroli, Alessandro Baricco fa un salto al contrario, dal futuro al passato. “Mi sarebbe piaciuto fare l’avvocato penalista. È un altro modo per raccontare storie.” E non dimentica i lavori che ha fatto quando era un ragazzo. Quando Missiroli dice “biscotti”, Baricco spiega che da giovane aveva lavorato nei supermercati come dimostratore per un prodotto svedese. Un impiego sostituito il prima possibile: “Ho fatto molti di questi mestieri assurdi – racconta -. C’erano delle agenzie che assumevano per scrivere i nomi sulle buste, come sugli inviti ai matrimoni. Ho fatto anche quello. Ma sono nato per fare lo scrittore”. E uno scrittore raccoglie tutto. “Ci sono tratti, persone, gesti che ti entrano dentro e non ti mollano più. Nei miei personaggi c’è tutta la gente che ho incontrato, tutte le donne che ho amato. Sono cose che mi appartengono e che tornano alla luce quando scrivo. Spesso sono lì da anni”. Non è solo osservazione. È la capacità di carpire dalla realtà un segreto che spesso sfugge. Si tratta di saper cogliere la bellezza e di saperla nutrire attraverso l’arte dello scrivere. E in questo Baricco è il maestro.
Poi ogni tanto nelle sue storie c’è anche lui. “Avevo appena pubblicato City e una mia alluna mi disse ‘è curioso. Tu sei in tutti i personaggi’. E questo è vero perché nei romanzi si mescola tutto: il muovere una spalla di uno, il modo di parlare di un altro, la somiglianza con il padre di un altro ancora. Che poi se vogliamo fare lo scrittore è un modo domestico, anche commovente, di essere Dio”. Dice di non aver buttato mai via niente nella sua vita. E, anzi, racconta che di recente si è reso conto di quante persone abbiano vissuto una parte della propria esistenza insieme a lui. “È successa una cosa che non mi sarei aspettato. Certamente mi aspettavo dell’affetto, ma non così tanto! Nelle 48 ore successive alla notizia della malattia mi sono arrivati tantissimi messaggi”.
L’incontro sta per finire e Marco Missiroli chiede ad Alessandro Baricco: “Come stai?” “Bene – risponde -. Il corpo vive con te, ogni tanto sta dritto ogni tanto sta storto. Ma io di base sto bene perché la vita l’adoro. È pazzesca, mi ha dato tantissimo”. Fa un inchino e tra gli applausi esce dalla sala. E forse torna a casa a dare un’ultima occhiata a quel western metafisico che in tanti non vedono l’ora di leggere.