Peperoncini messicani nei campi in provincia di Cuneo, cavoli coreani a Caselle, bambù nelle Langhe e radici di loto nel Canavese. È l’ala più innovativa dell’agricoltura piemontese, che per sopravvivere si è trovata a reinventarsi sperimentando coltivazioni tropicali o sud tropicali. Due ingredienti: il cambiamento climatico, che consente di far crescere mango e caffè in Sicilia, e le difficoltà di sopravvivenza delle aziende agricole.
La maggior parte dei prodotti esotici viene acquistata dalle stesse comunità internazionali, presenti sul territorio italiano, che li consumano. “Queste persone rimangono fedeli ai loro usi alimentari – spiega Vittorio Castellani, meglio conosciuto come Chef Kumalé, giornalista nell’ambito di food, intercultura e viaggi –. Siccome le importazioni dall’estero spesso hanno difficoltà maggiori, è aumentata la richiesta interna di questo tipo di prodotti”. E l’agricoltura locale si adegua.
L’esotico come antidoto
Considerando che occorrono almeno tre generazioni per cambiare le proprie abitudini alimentari, e che in Italia queste coltivazioni sono possibili, l’offerta si sta a mano a mano adeguando alla domanda. “Chi ha terreni oggi ha due possibilità: smettere di coltivare o inventarsi qualcosa di nuovo – continua Castellani –. Nel secondo caso, si tratta per lo più di startup, soprattutto con persone giovani, di italiani che hanno capito che c’è un business dietro alle coltivazioni di cibi esotici.”
A Collegno crescono 1.500 varietà di erbe aromatiche provenienti da tutto il mondo, a Caselle si coltiva la brassicace, una varietà di cavolo di origini coreani e giapponesi e nei laghi piemontesi e lombardi trovano spazio le radici di loto. Alcuni di questi prodotti sono iniziati a spuntare trai banchi dei supermercati. “Gli italiani però non li conoscono e mi chiedono come cucinarli”, dice Castellani.
Agricoltura tropicale a Km 0 in tv
Da qui, l’idea di creare un programma televisivo dove, appunto, spiegare l’origine di questi cibi esotici e come integrarli alla cucina piemontese. Nasce così “Tastè Partout, dal campo alla cucina”, che significa “assaggiato ovunque”, una serie di sei puntate ideate e condotte da Castellani, in onda ogni mercoledì alle 21, a partire da questa sera, su Rbe-tv, canale 87 del digitale terrestre. Un fenomeno particolare anche nel suo contesto di produzione, che coinvolte una emittente televisiva locale nata appena un anno fa, che nonostante questo si cimenta nella realizzazione di programmi inediti.
“Ho scelto una tv locale per contrastare il silenzio dei media tradizionali – spiega Castellani – che riflette una chiusura politica e sociale che non vuole parlare di integrazione”. In contrasto invece con il “forte interesse” da parte del pubblico, che si può vedere per esempio “sui social media, dove chi crea contenuti sulle storie del mondo ha grandi consensi”.
L’appello contro una chiusura culturale
“Abbiamo la possibilità di coltivare questi cibi ma poi non sappiamo cucinarli – aggiunge Castellani –. Il fenomeno del meticciato esiste da sempre e continuerà nell’epoca della globalizzazione. Per questo è fondamentale raccontare tutti i prodotti, anche quelli esotici. Le società evolute non si nutrono solo di alimenti ma anche di cultura, e la conoscenza riduce le distanze”, conclude Castellani, dando appuntamento alla prima puntata di stasera.