La decisione della giunta Lo Russo di dichiarare l’edificio in corso Regina Margherita, occupato dal centro sociale Askatasuna, come “bene comune” per la città sta creando non poco malcontento soprattutto negli ambienti di centrodestra. Tanto da attirare l’attenzione del ministro degli Interni Matteo Piantedosi: “Ho chiesto elementi di approfondimento alla Prefettura di Torino. Il percorso attivato dal Comune di Torino non può e non deve costituire, in alcun modo, una sorta di legittimazione, o addirittura di premio, per l’operato di un centro sociale che si è distinto negli anni per l’esercizio della violenza, piuttosto che per il dialogo e il confronto democratico orientato al bene comune”, ha detto rispondendo a un’interrogazione della deputata torinese di Fratelli d’Italia, Augusta Montaruli.
Ma facciamo un passo indietro. Cosa si intende per “bene comune”? Tra i vari atti dell’amministrazione torinese esiste il “Regolamento per il governo dei beni comuni urbani della Città di Torino”, entrato in vigore il 16 gennaio del 2020. La sua finalità è quella di “normare il governo dei beni comuni, intesi come beni pubblici o privati, riconosciuti come tali su iniziativa dei cittadini o dell’amministrazione stessa”. Nel caso di Askatasuna, a presentare una lettera al Comune è stato proprio un gruppo spontaneo di torinesi, tra i quali spiccano i nomi del sindacalista della Cgil Giorgio Airaudo, dell’ex magistrato Livio Pepino, del cantante Willie Peyote e dell’avvocato Roberto Lamacchia.
“Come cittadine/i torinesi – si legge nel documento – partecipi dei processi sociali e culturali della città e attenti ai movimenti che ne sono protagonisti abbiamo visto con grande interesse la proposta di attribuire al complesso dell’ex asilo dell’Opera Pia Reynero, da quasi tre decenni occupato dal centro sociale Askatasuna, lo status di bene comune riconosciuto dal Comune di Torino e di moltiplicare le attività ivi svolte a favore del quartiere Vanchiglia e dell’intera città”.
E queste parole, scritte su carta, non sono rimaste inascoltate. Anzi, sono state proprio condivise dall’amministrazione Lo Russo. Quale sarà quindi il futuro dell’edificio? Gli occupanti ora sgombreranno in maniera volontaria per ristrutturare alcuni locali. Ci sono già due pareri da parte di Asl e Vigili del fuoco che rilevano problemi strutturali legati alla sicurezza. Ma una volta sanate queste difformità, potranno iniziare le attività. La proposta prevede l’organizzazione di eventi a tema culturale; una “palestra popolare” con corsi di boxe, thai boxe, yoga, pilates, il tutto a titolo gratuito; un laboratorio artistico; uno studio di registrazione; una biblioteca; una camera oscura; crowdfunding; cineforum; aula studio; sportelli di supporto sociale per fasce deboli e attività educative. Il tutto rivolto alla cittadinanza.
Rimane il dubbio, sollevato dalle forze di opposizioni, su chi si occuperà di questi lavori. Ma il chiarimento arriva direttamente dal centro sociale. “Insieme a chi ha deciso di accompagnarci in questo percorso faremo in modo di effettuare i lavori propedeutici alla realizzazione della delibera comunale”. Insomma, la strada sembra tracciata. Ma è forte il dissenso da parte del centrodestra a ogni livello istituzionale. “Ci spaventa l’idea di città che hanno il sindaco Lo russo e alcuni suoi assessori come Rosatelli – dichiara il consigliere di Fratelli d’Italia, Giovanni Crosetto -, vogliono creare una Torino dove non ci sia spazio per i valori fondanti di una democrazia come il rispetto per la legge e la convivenza civile. L’immobile in questione di proprietà del comune è occupato dal 1996. E Askatasuna è uno dei centri sociali più pericolosi d’Italia. È la mente dietro la guerriglia No Tav e sono sempre loro i colpevoli degli attacchi alle forze dell’ordine”.
Tra le varie proposte dei gruppi consiliari di centro destra spunta anche quella di un referendum cittadino. Ci resta dunque da capire quali saranno i prossimi risvolti.
La fotografia di copertina “Askatasuna torino” è del Prof. Iumacorno, rilasciata con licenza CC BY-SA 4.0