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App per il tracciamento. Blengino: “Perché funzioni ci vogliono i dati giusti”

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Soluzioni tecnologiche per contrastare il Coronavirus. La scorsa settimana il governo italiano ha lanciato un appello ad aziende, start up e centri di ricerca perché in pochi giorni presentassero proposte utili a fare passi avanti nel contenimento della situazione di emergenza. La teleassistenza per i pazienti in cura nelle loro case e il tracciamento dei contatti dei positivi al Covid-19 sono gli ambiti su cui ci si concentra maggiormente.

Per quest’ultimo campo, l’esame dei progetti è al vaglio di una task force di esperti di data mining, ossia di estrazione di dati, e di realizzazione di applicazioni informatiche. Sulle testate d’informazione si legge di alcune di queste proposte (ad esempio su Repubblica Milano, Tpi, ma anche Il Sole 24 Ore), ma secondo Carlo Blengino, avvocato e fellow del Nexa Center del Politecnico di Torino, senza chiarire il discorso a monte. “Se la finalità è tracciare i contatti delle persone per contenere la diffusione del virus, ricorrere alla tecnologia per acquisire grandi quantità di dati ha senso in una fase iniziale del contagio, cercando di fare una fotografia il più possibile ampia della popolazione. In questo momento però abbiamo un’idea poco precisa di chi è positivo e di chi non lo è. C’è il rischio di non avere dati davvero utili”. Informazioni quindi possiamo averne molte, ma perché rendano efficace il monitoraggio è fondamentale la capacità di testare la popolazione e sapere con esattezza quando una persona ha contratto il virus.

Immagazzinando le informazioni sulla positività in modo tempestivo, il tracciamento può essere una buona soluzione per tutelare la salute dei cittadini nel momento di una parziale riapertura delle attività sociali. Tracciare anonimamente chi si registra per utilizzare un’applicazione sul proprio smartphone, memorizzare le persone con cui si entra in contatto tramite la tecnologia Bluetooth, immagazzinare queste informazioni e poi servirsene nel momento in cui si scopre un caso di positività è una strada in teoria percorribile: “Tenendo conto che il diritto alla privacy è comprimibile in situazioni di emergenza, ma con le dovute garanzie, mi sembra che la tecnologia applicata in Corea del Sud abbia elementi di interesse” afferma Blengino.
Negli ultimi giorni si è parlato di ricorso alla tecnologia Gps per sapere con quali dispositivi entrano in contatto le persone. Su questa ipotesi la task force scelta dal governo non si è ancora pronunciata, ma un gruppo di cittadini in allarme ha aperto una petizione online da indirizzare al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e alla ministra per l’innovazione Paola Pisano. Nella richiesta si parla dei limiti di funzionamento del Gps negli spazi chiusi, dove la probabilità di contagio è maggiore, e dell’impossibilità di individuare con precisione i contatti nel raggio di pochi metri. Come esempio di superiore affidabilità viene proposta proprio la tecnologia Bluetooth, indicando in particolare come modello l’applicazione adottata a Singapore. Secondo Blengino l’ipotesi di ricorrere al Gps è da escludere: “Una rilevazione con questo sistema non è sufficientemente precisa, consente di avere solo informazioni di massa. Mi sembra molto più sensato il contact tracing tramite Bluetooth, ma tra le poche proposte che ho visto qui non c’è niente del genere. Da quello che traspare ci sono aziende che si stanno buttando sul mercato, ma spetta allo Stato decidere la strada da intraprendere”.

La possibilità reale di portare a termine un’operazione simile in Italia, secondo Blengino, è comunque tutta da verificare: “Questa applicazione dovrebbe essere scaricata dall’intera popolazione e qui ci sono 80-90 milioni di dispositivi. La mia sensazione è che ci sia ancora poca chiarezza su come procedere. Ho fiducia nella task force di esperti, si tratta di professionisti competenti, ma ho molta meno fiducia nella realizzazione pratica che spetta alla politica”.

LUCA PARENA