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Ansia scolastica, tra i ragazzi cresce il “fattore panico”

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Anna, Giulia e Matteo studiano al liceo Alfieri di Torino. I loro nomi sono d’invenzione, ma i loro racconti sono reali e dipingono una scuola in grado di dare tanto, ma capace anche di creare grandi paure.

Anna si guarda le mani mentre parla. Ogni tanto solleva lo sguardo, velocemente, e lo riabbassa subito. È al quarto anno del liceo classico, ma non sono stati anni semplici: «Non ho mai dovuto ripetere l’anno, ma in quarta ginnasio ho scoperto di soffrire di un disturbo d’ansia». Probabilmente la paura di sbagliare, di fallire, era già dentro di lei, ma la scuola e lo stress che comporta, l’hanno fatta emergere prepotentemente. «La prima versione di greco è stata un disastro, l’ho consegnata in bianco. Da lì, fino all’anno scorso, l’ho fatto con almeno due versioni all’anno», continua Anna. «Mi sono sentita spesso schiacciata dalla pressione, e ho vissuto questi ultimi anni molto male».

Come Anna, sono tanti – e sempre di più – i ragazzi che soffrono di ansia e stress scolastico. Secondo il rapporto Pisa, il Programma di valutazione triennale degli studenti quindicenni realizzato dall’Ocse, gli studenti italiani hanno riportato livelli di ansia scolastica più elevati che nella media: il 70% dei ragazzi ha dichiarato che, anche se è preparato, quando deve fare un test è molto agitato.

Secondo lo storico Gianni Oliva, che per anni è stato dirigente scolastico di diversi istituti piemontesi, in ultimo dell’Istituto Majorana di Moncalieri, negli ultimi dieci anni si è certamente registrata una crescita, tra gli studenti, del “fattore panico”, come l’ha definito lui: «La scuola, ai miei tempi, era il tramite per poter accedere ad un buon lavoro» spiega il professore. «Eravamo tutti convinti che ci aprisse e prospettive e speranze. Oggi non è più così. Per questo, tutto quello che la scuola propone diventa più faticoso, meno gratificante, meno motivante e, quindi, quasi una prova fine a sé stessa. Ed ecco che la paura di far male aumenta».

Per questo, anche decidere in quale facoltà proseguire gli studi, genera un’angoscia che va oltre la difficoltà della scelta. «È un anno che ci penso, e questa decisione ha messo in crisi tanti di noi», racconta Giulia. «Siamo combattuti tra la possibilità trovare lavoro e scegliere quello che ci piace. Ci agita e interferisce molto con l’andamento dell’ultimo anno». In questo, anche i genitori svolgono un ruolo importante, da un lato molto esigenti, dall’altro troppo protettivi. «Io avrei voluto fare lettere, – racconta Matteo – ma ho avuto scontri parecchio duri con la mia famiglia, e per mediare ho dovuto scegliere economia». 

Quella che sembra essere una fragilità generazionale, spiega il professor Oliva, è in parte dovuta al rapporto con la famiglia, eccessivamente cautelativa. «La scuola è un pezzo della vita, non ci si può nascondere dietro le ali protettivi dei genitori ogni volta che c’è un problema. L’eccesso di protezionismo fa sentire i figli troppo figli e, a lungo, finisce per togliere coraggio. Quando ci si ritrova poi da soli, come a scuola, si ha paura». 

Le ansie dei ragazzi rispecchiano quelle di una società sempre più proiettata verso la ricerca della perfezione e la competizione individualistica. La paura di fallire e di non realizzarsi, permea gli studenti che, ancora in formazione, si trovano proiettati in una realtà più complicata di prima che li porta ad un atteggiamento di passiva rassegnazione. La scuola, ne è uno specchio e ne riflette limiti e difficoltà. «Non si può attribuirle una funzione salvifica», conclude Oliva «quello che può fare è proporsi sempre come un luogo di formazione, che premia i più bravi e aiuta chi è più in difficoltà, senza trasformare la meritocrazia – che deve esserci – in una fabbrica di individualismi».

Articolo tratto dal Magazine Futura uscito il 18 marzo 2020. Leggi il Pdf cliccando qui.

MARTINA STEFANONI

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