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Ancora un inverno di aria inquinata a Torino, pessima vicino a molte scuole

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Tra fine gennaio e l’inizio di marzo, prima cioè che il lockdown incidesse sulla riduzione del traffico, l’aria torinese che abbiamo respirato è stata pessima: secondo i dati raccolti dal Comitato Torino Respira, il 39% dei siti analizzati ha presentato concentrazioni superiori ai limiti di legge. I risultati della campagna di monitoraggio civico della qualità dell’aria torinese “Che aria tira?“, giunta al secondo anno, sono stati presentati in una conferenza online nella serata di giovedì 11 giugno. Il 39% dei siti campionati in città ha concentrazioni superiori ai limiti di legge di 40 µg/m3 (microgrammi per metro cubo) su base annua. E il 98% presenta valori superiori a 20 µg/m3, al di sopra del quale secondo le linee guida dell’Oms – Organizzazione Mondiale della Sanità – si osservano effetti negativi sulla salute.

L’obiettivo era misurare la concentrazione di biossido di azoto (No2) in quasi 300 punti in città e in una trentina di comuni della prima e seconda cintura tra cui Carmagnola, Carignano, Fossano e Vinovo. L’No2 si forma in tutti i processi di combustione per l’ossidazione dell’azoto presente nell’aria e la sua fonte principale è il traffico veicolare, sia a livello regionale che cittadino: in Piemonte i veicoli diesel contribuiscono per il 92% alle emissioni di biossido di azoto. “Misurare il Pm10 è molto più complicato, dipende da numerose fonti  e non è possibile farne una rilevazione con gli strumenti che utilizziamo noi del comitato – spiega Giuseppe Piras -. Il No2 è molto più localizzato, serve a fare un campionamento più puntuale perché da strada a strada può esserci una differenza rilevante”.

 

Nonostante le restrizioni legate al Covid-19 e le relative difficoltà incontrate nel recupero delle provette, “abbiamo svolto la più capillare azione di monitoraggio dell’aria nelle scuole torinesi mai fatta, e i risultati sono purtroppo preoccupanti, nonostante le condizioni generali nel periodo di campionamento fossero migliori rispetto all’anno scorso” ha commentato Roberto Mezzalama, presidente di Torino Respira. Il rilevamento è durato un mese, dal 2-3 febbraio al 2-3 marzo e i dati rilevati sono stati corretti per l’effettivo tempo di esposizione.

L’edizione 2020 ha dedicato particolare attenzione al tema dell’inquinamento da biossido d’azoto nei luoghi di studio, con il posizionamento di più di 120 provette in altrettante scuole superiori e dell’infanzia torinesi. Dei 700 campionatori totali distribuiti, 533 sono stati recuperati e analizzati.

Grazie al sostegno finanziario della Fondazione Compagnia di San Paolo, il comitato ha potuto affiancare un lavoro di rilevamento della qualità dell’aria presso 121 scuole oltre all’usuale campionatura realizzata in collaborazione con i cittadini. Il progetto “Che aria tira? Scuole” ha infatti l’obiettivo di aumentare la consapevolezza degli studenti torinesi e delle loro famiglie. Oltre alla rilevazione di NO2 sono stati effettuati incontri di formazione con più di 20 classi di studenti, prima della chiusura forzata delle scuole. La priorità è stata data alle scuole dell’infanzia e alle scuole superiori, da una parte per sensibilizzare i genitori dei bambini più piccoli e dall’altra per rivolgersi ai ragazzi che scendono in piazza per manifestare contro il cambiamento climatico.

Secondo i dati raccolti da Torino Respira, le scuole con le situazioni più critiche sono localizzate prevalentemente nella zona nord di Torino: “Questo conferma ulteriormente la sovrapposizione di disagio sociale e disagio ambientale di quella parte della città” spiega Mezzalama. Il 99% delle scuole analizzate presenta valori superiori al limite di 20 µg/m3. Su 71 scuole dell’infanzia e primarie, 70 superano il valore raccomandato dall’Oms e circa il 40% – 29 su 71 – eccedono i limiti di legge fissati a 40 µg/m3. Le scuole con la qualità dell’aria peggiore sono la Margherita Hack di via Coppino, Danilo Dolci di via Reiss Romoli e De Panis in via Ala di Stura. Tra le superiori e le università prese in considerazione, 23 su 51 sono risultate al di sopra dei limiti di legge: si tratta del 45%. Tra quelle con la qualità dell’aria peggiore, l’Itis Carlo Grassi di via Veronese, il liceo classico Umberto I di via Bligny, e l’Istituto tecnico Santorre di Santarosa di corso Peschiera. Sono numerosi gli studi che hanno messo in relazione l’incidenza dell’epidemia di Covid-19 con i livelli elevati di inquinamento atmosferico. Ma fuori dai limiti di legge ci sono anche alcune scuole del centro e persino all’interno della Zona a Traffico Limitato.

Per quale motivo i livelli di biossido di azoto non si sono abbassati in questi mesi di lockdown? Giuseppe Piras, del Comitato Torino Respira, spiega che le provette sono state esposte da fine gennaio ai primi di marzo, quando il vero blocco delle attività e delle auto non era ancora avvenuto. “Gli utlimi giorni di riduzione del traffico hanno comportato una forte riduzione, in alcuni caso quasi del 50% in meno, rispetto alle concentrazioni dell’anno scorso”. Lo dimostrano i dati emersi dalle analisi elaborate da un team di esperti del Sistema nazionale di protezione ambientale, grazie ad una nuova piattaforma in grado di integrare ed elaborare i dati forniti dal Programma europeo Copernicus e da sistemi modellistici a scala nazionale e regionale con quelli raccolti sul territorio dalle Agenzie per la protezione dell’ambiente delle regioni e delle province autonome – Arpa e Appa -. A seguito delle misure introdotte dal Governo per l’emergenza Coronavirus, i dati mostrano una stima di una diminuzione del biossido di azoto dell’ordine del 50% nella Pianura Padana.

“Purtroppo ci sono valori che non scendono mai del tutto, perché le combustioni relative per esempio ai riscaldamenti e ad altre questioni rimangono di fondo. Probabilmente si era già accumulato abbastanza biossido nelle provette quando è intervenuto il lockdown, per questo non è crollato – spiega Piras -. Non è che non ci sia stato un miglioramento, ma viviamo in una situazione di così continuo sforamento dei limiti che anche in una situazione come questa  non riusciamo a raggiungere dei livelli di rispetto per i limiti di legge. E quando succede, non rispettiamo quelli di garanzia per la salute come viene indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. C’è tanto lavoro da fare”.

Ogni anno la misurazione, anche in altre città, viene effettuata nel mese di febbraio, che tendenzialmente non ha cambiamenti meteorologici rilevanti rispetto a marzo e aprile, in cui le piogge sono molto più evidenti e altri fenomeni meteorologici cambiano abbastanza profondamente la qualità dell’aria. “Prima di sapere del lockdown eravamo già partiti con le campionature  e nell’incertezza abbiamo deciso di concentrarci comunque su febbraio. Inoltre i campionatori passivi hanno una durata abbastanza limitata e dopo tre mesi perdono la loro efficacia: noi le avevamo comprate a dicembre”.

I risultati ottenuti sono in linea con i dati registrati dalla rete di monitoraggio Arpa nel periodo di campionamento: i valori medi annui stimati per la Città di Torino sono più bassi di quelli della campagna 2019, che aveva registrato un valore di 48.57 µg/m3 contro il 38.22 µg/m3 di quest’anno. La differenza registrata, in linea con quelle riscontrate da Arpa, è del 21%. “L’Arpa utilizza dei filtri che fanno passare l’aria e danno una rilevazione molto più precisa, ma a Torino ci sono solo 4 centraline – spiega Piras –  L’agenzia regionale fa una media e tende leggermente a sovrastimare: i nostri valori sono meno precisi, ma più puntuali. Come ha spiegato Roberto Mezzalama, la differenza è circa del 6% e noi adeguiamo i livelli all’Arpa, che sono il dato ufficiale. Abbiamo notato che anche in altre città d’Italia questa differenza è sempre uguale, quindi probabilmente è un dato standard tra un tipo e l’altro di rilevazione”.

“Che aria tira?” è una campagna di citizen science autofinanziata e realizzata dai cittadini che hanno effettuato il monitoraggio del biossido di azoto in un luogo a loro scelta che ritenevano interessante per il campionamento. Dopo un mese, i campionatori vengono riconsegnati e analizzati dall’azienda inglese Gradko Environmental. Per la misurazione si utilizzano fiale assorbenti: questo tipo di campionamento passivo è economico e di semplice gestione perché non richiede l’impiego di un dispositivo per l’aspirazione dell’aria, ma avviene per diffusione molecolare attraverso il campionatore esposto all’aria.

CHIARA MANETTI