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Alla Gam la scultura tra 1940 e 1980

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Nel 1945 Arturo Martini annunciava la morte dell’arte statuaria. Lo scultore aveva torto: la mostra “Viaggio al termine della statuaria”, curata da Riccardo Passoni e visitabile alla Gam di Torino fino al 10 settembre (realizzata con il sostegno della Fondazione De Fornaris e la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea Crt), riassume le trasformazioni e le evoluzioni di un’arte tutt’altro che morta. I quattro decenni, dal 1940 al 1980, sono stati spettatori di una metamorfosi senza precedenti del mondo della scultura italiana. In mostra un’evoluzione inedita delle giovani leve dell’epoca che ruppero le regole secolari della disciplina e presero le distanze dalla classica impostazione puramente ornamentale del tempo.

Il confronto appare chiaro appena varcato l’ingresso della mostra: l’armonia classica ed elegante del Ritratto di Eva, in esposizione per la prima volta dal 1959, di un allora maturo Edoardo Rubino si contrappone all’opera irregolare e anti-retorica di La Pazza di un giovane Sandro Cerchi.

L’evidente rottura di stile e tecnica parte da qui per proseguire il viaggio tra le cinquanta opere in esposizione. Una nuova libertà di espressione diventa possibile e la scultura si appropria di una funzione riflessiva ancora sconosciuta. La violenza e la ruvidezza della Seconda guerra mondiale viene rielaborata in  La rissa di Agenore Fabbri.

Con il tempo le linee armoniche dell’arte classica lasciano spazio alle irregolarità delle opere Equilibristi e Deposizione di Giuseppe Tarantino. La verticalità della scultura viene messa in discussione da opere piatte come il Concetto Spaziale di Fontana. Il metallo e il legno danno forma a figure informali, linee spezzate e in movimento. L’assemblaggio di materiali industriali è una delle innovazioni del tempo e nuovi temi, ancora inesplorati, approdano direttamente dal mondo della pittura: come in Zuccaia di Piero Gilardi, dove la natura morta diventa scultura. E le evoluzioni non finiscono qui, continuano nell’esposizione. Una donna Nanda Vigo chiude la mostra con l’opera Frammenti di Riflessione, ultima esperienza degli anni Settanta che altera lo spazio con un’installazione luminosa e geometrica.

I quaranta artisti in esposizione hanno dato dimostrazione di un’arte che si è reinventata attraverso il modellare, lo scolpire, il forgiare, l’architettare. La scultura si è così liberata dal duro verdetto iniziale di Arturo Martini. 

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