Virtuale e reale si confrontano alle Ogr di Torino in occasione della mostra “Perfect Behaviors. La vita disegnata dall’algoritmo”. Sei installazioni guidano il pubblico in un percorso che racconta come gli algoritmi influenzano la vita degli esseri umani tutti i giorni, fino ad arrivare a controllarla. Il curatore è Giorgio Olivero, designer che ha scelto di unire opere provenienti da diverse nazioni. Per dare vita a questo lavoro è partito da una domanda: “Cosa succede quando l’ordine del mondo viene quotidianamente sostituito, aggiornato in modo invisibile dall’evoluzione tecnica? Ecco che ci accompagna un senso di radicale incertezza: sappiamo che ci stiamo trasformando ma non sappiamo bene in cosa”. L’esposizione guarda le nuove tecnologie da una prospettiva artistica, svelando la forza e le fragilità di quelle strutture che sembrano avere in mano l’esistenza degli uomini e delle donne del ventunesimo secolo. E ogni artista ha cercato di rispondere a modo suo agli interrogativi che la questione mette in gioco.
Camminare per strada
L’opera che accoglie gli spettatori al Binario 1 è quella realizzata da Universal Everything, studio di design britannico. L’installazione è un grande schermo che mostra folle di persone che camminano per strada. Gli individui sono centinaia e come sciami si muovono nello spazio secondo una propria direzione. L’opera rappresenta il sistema che gli ingegneri informatici e matematici utilizzano nelle grandi città per prevedere il movimento delle masse. La sicurezza è al centro delle intenzioni di queste operazioni, ma a nessuno spettatore viene risparmiato un senso di inquietudine: è evidente come anche il solo gesto di camminare per strada sia motivo di controllo. Gli individui, non a caso, vengono ripresi dall’alto.
I brevetti del controllo
La seconda installazione è quella di Paolo Cirio, artista torinese che si occupa dei sistemi mediatici, economici e legali della società dell’informazione. Per raccontare quanto i comportamenti umani siano sempre di più organizzati esternamente, ha voluto creare un passaggio stretto tra due alti muri bianchi. Internamente, sulle pareti, sono riportati in modo visuale i brevetti che negli anni sono stati depositati per controllare le azioni umane sui social network. L’opera si presenta come un viaggio (lungo qualche metro) nel mondo degli addetti ai lavori, tra idee e algoritmi. La luce in fondo al tunnel, suggerisce l’installazione, è rappresentata dalla consapevolezza.
Make-up contro la censura
Si arriva poi all’opera di Eva e Franco Mattes, che si sono ispirati a fatti realmente accaduti. Nel 2019 una ragazza americana ha pubblicato un video su Tik Tok. Apparentemente si trattava di un video tutorial di make-up, in realtà Feroza Aziz denunciava il genocidio degli uiguri in Cina. L’algoritmo si è fatto ingannare e il video è diventato virale. Partendo da questa vicenda i due artisti italiani hanno voluto realizzare diverse clip dello stesso stampo, mostrando persone che, mentre si truccano, denunciano ingiustizie e abusi. La particolarità è rappresentata dal fatto che questi filmati vanno in scena su scrivanie rovesciate provenienti delle aziende che effettuano il controllo dei contenuti sui social. La scrivania, da sempre simbolo del potere, viene decisamente ribaltata.
Un cervo in GTA
Brent Wantabe è un artista e programmatore americano che ha fatto suo il famoso videogioco GTA V. Lo ha hackerato e lo ha modificato per trasmettere un messaggio. Il protagonista non è più un avatar che si muove a Los Angeles, spara e si ribalta con la macchina a suo piacimento. A muoversi nello spazio è un cervo. Le interazioni con gli altri personaggi e le operazioni che possono essere compiute inevitabilmente si modificano. Non manca l’ironia, ma quello che l’artista vuole comunicare è la difficoltà di distinguere sempre di più l’originale dal contraffatto, il reale dal costruito.
Braccia e gambe cyber
Poi c’è Geumhyung Jeong. È sudcoreana e le sue opere fanno il giro del mondo. La sua “Toy prototype” si trova al Binario 2 delle Ogr e ha come protagonista l’uomo che cerca di far diventare il cyber più umano. Un’immagine che lei smonta, idealmente e fisicamente. Su un lungo tavolo di acciaio ci sono le membra sparse di umanoidi: gambe e braccia posano vicino a fili disgregati e ruote robotiche. Un lavoro che è stato esposto in Biennale a Venezia e che ora si trova a Torino, dove l’artista ha disposto le parti della sua opera secondo la volontà di trasmettere il più possibile il messaggio sul confronto tra umano e androidi.
La trappola del cerchio magico
E poi il grande finale. La sesta e l’ultima installazione è quella di James Bridle, artista londinese che ha intrappolato un’auto in un cerchio di sale. Ha modificato la sua macchina per renderla a guida autonoma. La vettura, se individua un ostacolo, si blocca. Una questione di sicurezza che l’artista ha voluto trasformare in una questione di limiti. Ha pensato di parcheggiarla sotto il Monte Parnaso, che domina la città di Delfi, in Grecia. Un luogo scelto con criterio: l’antico promontorio caro agli dei guarda dall’alto il fallimento di quella nuova divinità che è la tecnologia. Questo perché Bridle ha circondato la vettura in un cerchio di sale, che oltretutto richiama i riti magici medievali. Lei riconosce l’ostacolo e non riesce a superarlo, iniziando a ruotare su sé stessa.