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Alberto Orioli: “Mattarella è stato il Presidente della forza tranquilla

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Dopo l’incontro con Marco Damilano, a quattro giorni dall’elezione del 13° Presidente della Repubblica abbiamo intervistato un altro giornalista che ha legato la propria carriera all’analisi delle trame del Colle: Alberto Orioli, vicedirettore del Sole 24 Ore, autore del saggio Dodici Presidenti. Vita da Quirinale da De Nicola a Matterella e del podcast 12 Presidenti, che si può ascoltare su Audible.

Nel libro ha descritto la storia della Presidenza della Repubblica come la storia di “un potere che non avrebbe voluto esserlo”. Cosa intende?

I costituenti hanno mantenuto molto generico il potere effettivo del Presidente della Repubblica, affidandogli semplicemente una facoltà legata alla possibilità di inviare messaggi alle Camere, alla scelta della Presidenza del Consiglio, alla condivisione della lista dei ministri e alla possibilità di non controfirmare le leggi. Il mio era quasi un accenno ironico dato che, nel corso del tempo, il Capo dello Stato ha irrobustito moltissimo il suo potere, specialmente dal punto di vista della rappresentanza del nostro Paese presso le cancellerie internazionali. Come dice Giuliano Amato, i poteri del Presidente della Repubblica sono “a fisarmonica”: si estendono quando c’è una palese debolezza dell’esecutivo e del legislativo e si restringono quando la normale dinamica tra questi due poteri esprime tutto il suo potenziale. 


Ha definito Sergio Mattarella come il “Presidente della forza tranquilla”. Cosa rimarrà del suo stile?

Facevo riferimento alla “Forza tranquilla”, una celebre campagna elettorale di François Mitterrand che innovò moltissimo lo stile di comunicazione in politica. Mattarella è stato inesorabile nella sua tranquillità e nella sua certezza di agire per il bene comune. Lo ha dimostrato in più occasioni, come durante la gestione della prima crisi del governo giallo-verde, quando rifiutò di dare il ministero dell’Economia a Paolo Savona intuendo che la sua nomina avrebbe scatenato uno tsunami sui mercati finanziari e indebolito ulteriormente la tenuta dell’euro, e anche nella scelta di imporre la presidenza di Mario Draghi, quando l’Italia necessitava di una leadership forte e più efficace. Il suo settennato era partito vedendo affacciarsi un presidente timido, accademico e molto schivo, ma che alla fine ha saputo consolidare il suo rapporto con i cittadini italiani. Il bis che tutta la scala ha chiesto a Mattarella è la rappresentazione plastica della bontà del suo operato. 

Ci racconta del suo legame con Carlo Azeglio Ciampi?

Ho avuto il grandissimo onore di scrivere un libro assieme a lui in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia: è stata l’esperienza professionale più gratificante della mia intera carriera, frutto di una serie di colloqui tenuti presso il Palazzo Giustiniani. Sono venute fuori anche aspetti curiosi sotto il profilo personale: ad esempio, quando era governatore della Banca d’Italia, nei momenti di massimo stress, andava alla Salita del Grillo per chiacchierare con Renato Guttuso e alleggerire il suo spirito. 

Com’è cambiato il ruolo del Presidente della Repubblica, specialmente da quando i partiti non hanno più in mano le redini del gioco?

Da Pertini in poi, questa istituzione è cambiata molto soprattutto grazie alla sua capacità di intervenire nel dibattito pubblico attraverso l’uso delle esternazioni, una formula non prevista dalla Costituzione ma che i presidenti hanno via via impiegato a piene mani. Ad esempio Cossiga, negli ultimi due anni del suo settennato, ha utilizzato una capacità esplosiva di esternazione quotidiana, attaccando l’establishment del tempo e accusandolo di non aver compreso il cambiamento epocale generato dal crollo del Muro di Berlino, che avrebbe comportato una ricollocazione del nostro paese all’interno dello scacchiere internazionale. 

Qual è stata l’elezione più eclatante e inaspettata?

Indubbiamente il bis di Napolitano. È stato uno shock per tutto il paese, anche per noi che lo guardavamo da addetti ai lavori. Quella stagione ha rappresentato un clamoroso autogol della politica: lo squallore che abbiamo visto nella rappresentanza dei 101 franchi tiratori nella candidatura di Romano Prodi, l’impallinamento di Franco Marini tramite i social e il discorso d’accettazione di Giorgio Napolitano di fronte a un Parlamento imbelle rimarranno impressi nella memoria collettiva ancora a lungo.