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Ah ma non è Lercio: la metasatira non ha prezzo

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di Massimiliano Mattiello

Contattare gli amministratori della pagina “Ah ma non è Lercio” è stato semplice. È bastato scrivere un messaggio su Facebook, il loro luogo d’azione. Non giocano a fare i divi, sanno che non c’è bisogno. Nel web 2.0, quello scandito dai social network, la prima regola è riuscire a trovare del tempo per interagire con i propri utenti. La pagina nata nel 2010 deve il nome ad un’altra creatura di Facebook: “Lercio”. Un progetto satirico di grande successo che si basa sulla creazione dal nulla di notizie paradossali scritte in modo da sembrare verosimili.

Da qui parte il manifesto ideologico della pagina che, come dice Niccolò – uno dei fondatori – al momento dell’intervista, è: «arte di concetto». La cui base è quella di: «segnalare un certo tipo di giornalismo» che vuole divertire piuttosto che informare. Quest’arte ha raggiunto più di 360mila like, un numero addirittura superiore a quello di alcuni quotidiani italiani. Dal primo marzo saranno a Venezia per la creazione di una art gallery collettiva, composta dagli stralci delle notizie paradossali che costituiscono le fondamenta della loro missione culturale.

Come nasce il progetto?

Nasce nel 2010, cambiando vari nomi ma non identità. Tutti i nomi non li ricordiamo più e nemmeno importa si sappiano. Siamo in 4 a gestirla, ma il numero oscilla ed è oscillato. Abbiamo 30 anni in media, per lo più con lavori diversi. Ma ci serviva qualcosa che rompesse gli indugi. Qualcosa che creasse la satira sulla quale costruire la nostra “metasatira.”

Quindi scomponendo il concetto che c’è alla base di Lercio?

Una volta che è esistito il fenomeno di Lercio, nell’immaginario collettivo c’erano i presupposti della satira sui quotidiani, sulle notizie assurde. Quindi la viralità è derivata dal cavalcare, almeno solo nel nome, il successo di una pagina che aveva già raccolto un’ampia fetta di pubblico. Con una differenza sostanziale. La nostra espressione artistica più che satira, deriva dalla decontestualizzazione delle nozioni base dei quotidiani. È il cambio di contesto che crea l’effetto comico. Non modifica il reale, mostra il paradosso di ciò che c’è già. Facciamo un lavoro concettuale, mentre quello di Lercio (inventare le notizie n.d.a) potremmo definirlo d’espressione. Un lavoro che serve soprattutto a riflettere sullo stato della nostra informazione

Visto che il vostro modus operandi è quello di rincorrere notizie paradossali, quale credete sia il livello d’informazione in Italia?

La situazione problematica dell’informazione è un fenomeno mondiale, che getta le radici su un problema della rete complessivo. Il problema non è che il giornalismo non funziona, il problema è che attraverso internet si è sviluppato un certo modo di fare informazione, che cerca di intrattenere più che di informare. C’è anche un problema di saturazione della satira. Se prendiamo un oggetto dal reale senza inventare le notizie, cioè lavorare su qualcosa che fa già ridere così com’è per la sua assurdità, forse si è raggiunto un livello di saturazione. Va di pari passo con quello dell’informazione. Noi dimostriamo che le due cose si confondono. Se la satira non riesce più ad essere ficcante come un tempo è perché non ci sono argomenti su cui fare satira. Perché l’informazione a volte sembra la parodia di se stessa.

C’è un sistema, un algoritmo, per la viralità?

Abbiamo dimostrato che si può creare un fenomeno virale giocando su qualcosa che è già virale.

Come vi comportate con i commenti?

A una domanda reale, rispondi. Se qualcuno chiede spiegazioni sul perché un articolo possa essere più o meno divertente, rispondono altri utenti ed è importante sottolineare che buona parte del lavoro dietro la pagina è svolto da loro che ci segnalano notizie o ci aiutano nei commenti. Abbiamo soprattutto “educato” il pubblico a partecipare attivamente alla pagina. bannare qualcuno non ci sembra necessario. Il pubblico è educato, non dobbiamo creare un regime di esclusione forzata

Mai avuto critiche dai quotidiani per le notizie pubblicate?

È un gioco sporco quello che facciamo, portiamo pubblicità e visibilità ai giornali. Quindi introiti, perché rimandiamo sui siti d’informazione ufficiali. I direttori dei quotidiani, criticandoci, perderebbero un tornaconto personale portato da tutto questo flusso di utenti.

 Quanto è difficile sopravvivere rimanendo fedeli a se stessi e a una sorta di “codice etico” sul web?

Basta non volerci guadagnare.

Non volerci guadagnare?

Certo. Noi siamo tutti lavoratori. Per etica abbiamo deciso di non sfruttare il successo della pagina per motivi economici, scegliendo di non utilizzarla come fonte di sostentamento. Facciamo arte di concetto, nel suo stato più puro. Ed è l’unico modo per rimanere fedeli a noi stessi, che significa soprattutto non voler scendere a compromessi con qualunque tipo di sistema. I quotidiani ad esempio sono costretti a pubblicare quelle notizie che noi usiamo per comporre la pagina, pur di sopravvivere. Entrando in questo circolo, quello di subalternità con le pubblicità, devi accettare di fare qualunque cosa possa continuare a garantire lo stile di vita al quale ti sei abituato. Noi scegliamo di non legarci a livello economico alla nostra espressione artistica e come per qualunque arte venderla significherebbe svenderla e perderne la purezza degli inizi e quindi la qualità che ne ha decretato il successo.

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