La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

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Nuovi modelli di business, nuovi linguaggi, nuovi media. Fare giornalismo, oggi, significa saper maneggiare la novità. “Il settore è in crisi”, dicono gli esperti, le abitudini di consumo delle notizie si modificano, i giornalisti sono sempre più precari. Il bisogno di informazione, però, non si è ridotto, e i cambiamenti portano con sé anche sfide inedite: i giornalisti hanno, come non mai, il compito di cercare quelle novità che permettono di costruire relazioni di fiducia con il pubblico e continuare a raccontare, senza sosta, la realtà.

Effetto Papageno, quando raccontare bene le notizie di suicidio fa la differenza

“Dobbiamo trovare le parole giuste per parlare di suicidio: è necessario per fare prevenzione e per dare una voce alle vittime”. Dice così Rocchina Stoppelli, fondatrice dell’Associazione “La Tazza Blu”. Sua figlia, Giulia, è morta per suicidio nel 2017. Il fenomeno riguarda ogni anno 4.000 persone in Italia ed è la seconda causa di morte nei ragazzi di età compresa tra i 15 e i 24 anni, dopo gli incidenti stradali. “Per la mia esperienza – dice ancora Rocchina – si può parlare di suicidio solo avendo un grande rispetto per chi non c’è più, per le famiglie e per gli amici che rimangono dopo il lutto”.

Che parole si possono (o si devono) usare per descrivere un fenomeno tanto complesso? Che effetto può avere, la cronaca, sui soggetti a rischio? La domanda riguarda chi si occupa di informazione e chi parla di suicidio in una qualsiasi arena pubblica o mediatica.

Una risposta si trova nella letteratura scientifica: “Il modo con cui i media raccontano le notizie di suicidio può avere un effetto positivo nei confronti di soggetti a rischio o può, viceversa, esporli a un maggiore pericolo” spiega Chiara Davico, neuropsichiatra all’ospedale Regina Margherita di Torino. Si parla infatti di “effetto Werther” per indicare l’impatto negativo della cronaca che alimenta il contagio suicidario . Ma anche di “effetto Papageno”, che è, all’opposto, il meccanismo protettivo che i media possono sostenere: secondo l’Oms, il racconto responsabile è proprio uno degli elementi chiave nella prevenzione del suicidio. È una consapevolezza nuova per il settore giornalistico, che deve ancora essere approfondita con studio e formazione. 

Anche per questo, negli ultimi mesi è nato uno dei primi progetti che in Italia si occupa di comunicazione del suicidio, e della sua prevenzione. Si chiama Papageno.news, ed è il frutto della collaborazione tra i neuropsichiatri infantili del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino e il Master in Giornalismo “Giorgio Bocca”. È un cantiere aperto, in cui medici e giornalisti, insieme, si interrogano su come parlare in modo nuovo, rigoroso e responsabile, di un fenomeno che riguarda da sempre l’umanità.