La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

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Oggi è più difficile farsi strada nel giornalismo, un settore che vive da oltre un decennio una fase di profonda difficoltà, accelerata dalla incompleta comprensione della rivoluzione digitale. L’intraprendenza è una qualità indispensabile per emergere e affermarsi: ha permesso di aprire nuove strade, innovando i modelli di informazione e coniugando le conoscenze con le potenzialità dei nuovi media. Così sarà anche in futuro, sempre di più.

Al padellino, la pizza dei torinesi

Quando si parla di pizza, si accende un dibattito tra i sostenitori della pizza napoletana, con il cornicione alto e la pasta morbida e sottile; e chi invece preferisce la sua variante romana, dall’impasto più croccante. Pochi però, fuori dai confini sabaudi, sanno che esiste anche la pizza torinese, e non ha nulla da invidiare alle altre due. La pizza al padellino nasce nel secondo dopoguerra dall’intuizione di alcuni ristoratori provenienti dalla zona toscana dell’Altopascio, in provincia di Lucca. Arrivati in città aprono locali dedicati a specialità del loro luogo d’origine come farinata e castagnaccio, ma presto aggiungono al menu la pizza al mattone. Con la fine della guerra e il boom dell’industria l’afflusso di clienti aumenta, e urgono nuove soluzioni per soddisfarli tutti. Per velocizzare la produzione l’impasto viene già preparato e steso in un tegamino prima dell’ordinazione, e la pizza viene condita prima della cottura, a temperature altissime come quelle richieste della farinata, creando un binomio indissolubile tra le due pietanze. L’intuizione si rivela un successo, e per decenni la pizza al padellino è la regina incontrastata delle pizzerie torinesi: buona, dall’impasto alto e soffice e semplice da mangiare. Nascono pizzerie in tutta la città, e il padellino soppianta il mattone. Sorge quindi spontanea una domanda: perché il successo della pizza al padellino si ferma ai confini di Torino? Il resto del mondo, sostanzialmente ignaro di questa variante, la preferirebbe alla pizza napoletana e a quella romana se solo la conoscesse? A questa domanda non c’è una risposta precisa, ma una possibile spiegazione l’ha fornita la giornalista gastronomica torinese Sarah Scaparone: “La pizza al padellino è torinese a tutti gli effetti, e la sua mancata diffusione fuori dalla città è dovuta all’understatement tipico di questa città. Non ci viene bene valorizzare le nostre eccellenze, preferiamo sempre che siano gli altri a scoprirle da soli. Basterebbe organizzare una festa annuale per celebrarla, un Sorbillo torinese che la faccia conoscere al resto del mondo, ma questo non fa parte del nostro modo di essere”. Davvero un peccato che la pizza al padellino resti un’esclusiva del capoluogo piemontese, e che non ci sia ancora nessuno che abbia avuto l’intraprendenza di esportarla, mettendola in diretta concorrenza con le sue rivali. Quell’intraprendenza che hanno avuto invece i ristoratori toscani nel secondo dopoguerra, che hanno risposto alle esigenze del pubblico introducendo questo nuovo modo di far la pizza.