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A 35 anni da Chernobyl, i bambini bielorussi cercano ancora una vita normale

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35 anni fa, la notte del 26 aprile del 1986, il mondo è cambiato. L’incidente – o più giustamente, il disastro – di Chernobyl ha avuto effetti devastanti sulla popolazione globale e sull’immaginario collettivo dell’energia nucleare, che all’epoca veniva ancora applaudita come una rivoluzione più che positiva. Ne abbiamo sentito parlare, abbiamo visto i video e le immagini del luogo dell’incidente, e ne abbiamo assaporato la drammaticità in film e serie tv, che spesso hanno alimentato miti e leggende legate a un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato (come la limitrofa città di Pripyat). Nonostante ciò, in quei 150 km quadrati contaminati tra Ucraina e Bielorussia, ci sono persone che vivono ancora sulla propria pelle gli effetti di quella catastrofe. A Moncalieri – già da molti anni – c’è un’associazione che si occupa di loro.

“Prima della pandemia, ospitavamo bambini dai 7 ai 9 anni provenienti da Liozno, nel nord-est della Bielorussia, in estate e nel periodo tra ottobre e novembre. La Fondazione “Aiutiamoli a Vivere” ONG si occupa a livello nazionale dell’iter burocratico, sia tra le varie istituzioni nazionali e comitati minori, sia a livello di accordi internazionali. Noi invece ci occupiamo di selezionare le famiglie che possono ospitare i ragazzi e di organizzare le attività” ha raccontato Barbara Baravalle, presidentessa del Coordinamento Genitori Democratici Mario Grasso APS. “I bambini vengono accolti anche durante il periodo scolastico, con un insegnate madrelingua e un interprete. La mattina fanno scuola, mentre il pomeriggio fanno gite, visite turistiche e sport” ha continuato.

“Quest’esperienza per i bambini ha una grande importanza. Per loro è una vacanza terapeutica a tutto tondo. Non solo gli dà la possibilità di vivere per un periodo in un luogo privo di radiazioni e di mangiare cibi non contaminati, ma possono anche assaporare una vita migliore” ha sottolineato. L’associazione accoglie infatti bambini che provengono da una zona povera della Bielorussia, che ancora vive gli strascichi del disastro di Chernobyl. “Molti di loro vivono in situazioni familiari precarie. Altri vivono in famiglie affidatarie molto numerose, che spesso non gli danno l’affetto di cui avrebbero bisogno”.

Un villaggio rurale della zona nord ovest della Bielorussia

La pandemia, però, ha messo in pausa l’intero progetto, e il futuro è tutt’altro che certo. “La burocrazia rende le cose ancora più difficili. Ci sono degli accordi interministeriali e internazionali da rifare da capo. Inoltre, la turbolenta situazione politica bielorussa pone diversi dubbi sui tempi degli accordi” ha precisato.

“Una volta un’interprete mi ha raccontato come i bielorussi siano una popolazione molto ligia al dovere, lavoratrice, un po’ malinconica, ma che vede negli occhi dei ragazzi che hanno fatto esperienze una luce diversa, piena di vita” ha raccontato la presidentessa dell’associazione. La luce di chi ha potuto assaporare un’esperienza di vita più vicina alla normalità, lontano dalle contaminazioni di un disastro che – dopo 35 anni – ancora li perseguita.

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