Il numero degli immigrati nel nostro Paese diminuisce, ma non è una buona notizia. Oggi, mercoledì 24 novembre, al Museo del Risorgimento in piazza Carlo Alberto è stato presentato il XXX rapporto stilato dalla Caritas e della Fondazione Migrantes sullo stato dell’immigrazione in Italia. I dati che emergono raccontano una situazione in controtendenza con gli scorsi anni. Com’è cambiata l’immigrazione in Italia? Riassumendo, potremmo dire che è calata: il numero di persone straniere è sceso del 5%, pari a circa 300mila persone in meno.
Le ragioni del fenomeno sono molteplici: da un lato oltre 130mila individui hanno ricevuto ufficialmente la cittadinanza italiana, che è un fatto positivo considerando la diffcoltà che questa procedura comporta. Dall’altro, la pandemia. Gli stranieri sono stati infatti tra le categorie colpite più pesantemente dal Covid, soprattutto per le ripercussioni economiche e lavorative. Molte persone hanno così deciso di fare ritorno alla propria nazione di origine o di spostarsi altrove. Al contempo, il fenomeno degli sbarchi è nettamente diminuito, segnando un -35% delle attività di contrasto al fenomeno, perché semplicemente non c’erano imbarcazioni da bloccare.
“Da domani dovremmo smettere di preoccuparci di invasione, l’Italia è un paese di passaggio per i migranti – ha affermato Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti della diocesi torinese -. La Pastorale Migranti ha raccolto storie di convivenza e partecipazione. La popolazione straniera è diminuita del 5%, mentre la popolazione totale italiana è diminuita del 6%. L’Italia sta attraversando la più grande crisi demografica dal Dopoguerra, cui si aggiunge una crisi occupazionale. Sono 150mila quelli che hanno perso un lavoro stabile, senza contare le prestazioni occasionali. Mentre le imprese italiane hanno chiuso, quelle straniere hanno visto ancora un aumento del 2,3%. La crisi occupazionale ha aumentato la povertà assoluta. Una famiglia su 4 tra gli stranieri è scivolata in povertà assoluta”.
“Dai dati dell’Inps sappiamo che la popolazione straniera ha usufruito molto poco di bonus e aiuti economici – prosegue il direttore -. La pandemia ha cambiato la percezione che avevamo degli stranieri, ma non in meglio: prima erano portatori di criminalità, poi sono diventati gli untori che diffondevano la malattia. Questo è stato un passaggio mediatico pesante. Ciononostante nel momento peggiore della pandemia abbiamo dovuto richiamare medici stranieri per aiutarci”.
Dopo 30 anni di report, la consapevolezza della realtà migratoria è cresciuta molto. Sembrano lontanissimi i tempi dei grandi sbarchi degli albanesi sulle coste della Puglia nell’estate del 1991. Gli anni dal 2010 sono stati quelli della crisi aconomica e del boom dell’immigrazione, ma è anche il momento in cui la retorica politica sul tema è diventata più apertamente contraria e fomentatrice di paure.
La presenza di stranieri sul nostro Paese è molto numerosa e variegata, con comunità di grandi dimensioni che hanno origini antiche. Ad esempio, la popolazione straniera in Piemonte è di 406mila persone.
Negli scorsi anni si è riflettuto molto sul rapporto tra singoli Stati, oggi però la proposta è di ragionare in termini continentali. La Fondazione Migrantes riporta come nel Vecchio Continente il 70% dei migranti internazionali siano esclusivamente europei, con la restante quota divisa tra il resto del mondo e un quadro analogo si trova anche in Asia e Africa.
In conclusione, ciò che si può dedurre dalla monumentale ricerca è che l’Italia, se lo è mai stata, non è più una meta ambita per i migranti di tutto il mondo, e questo è un problema. I meno specializzati già da molti anni si sono sostituiti alla popolazione autoctona nello svolgimento delle mansioni più umili come il lavoro agricolo. Il nostro Paese inoltre non è in grado di attirare persone altamente formate e laureate dall’estero, perché non offre opportunità lavorative adeguate e nemmeno possibilità di ricerca. Cambiare rotta è necessario per il bene di tutti.