“La musica da camera è una metafora di vita: ci insegna a rimanere uniti, preservando le individualità di ciascuno”. Hanno poco più di vent’anni e un’agenda fittissima di concerti programmati per l’estate e l’autunno, in Italia e non solo: il Trio Chagall, composto da Lorenzo Nguyen al pianoforte, Edoardo Grieco al violino e Francesco Massimino al violoncello, sabato 19 giugno si esibirà al Teatro Vittoria di Torino, per un nuovo appuntamento della serie “Young”, che l’Unione Musicale dedica alla scoperta dei più brillanti talenti nazionali e internazionali.
Quando e come è nata l’idea di fondare il Trio?
Siamo partiti nel 2013, avevamo 14-15 anni ed è abbastanza inconsueto che un gruppo stabile si costituisca in così giovane età. Ci legava la comune frequentazione dei corsi del Conservatorio. Suonando insieme, un po’ per gioco, è nata un’amicizia profonda. Ci accomunava la passione per la tradizione cameristica, che a Torino ha grande importanza, e poi aspiravamo a emulare i nostri insegnanti. Le ambizioni professionali sono arrivate dopo.
Perché avete scelto il nome Chagall?
ll nome Chagall vuol essere un omaggio al celebre artista, da sempre fonte d’ispirazione per il Trio. Oltre che un grande pittore, Chagall era anche un grande appassionato di musica e teatro. Suoi sono i disegni che ornano la cupola dell’Opera Garnier di Parigi e suoi sono anche i due grandi murales del Lincoln Center di New York, dove si era trasferito negli anni della seconda guerra mondiale. Poi c’è un legame affettivo che lega uno di noi a questo nome: la scuola che frequentò Lorenzo è intitolata lui.
Dal vostro esordio a oggi avete vinto molti premi, tra i quali il “Young Award” come ensemble finalista più promettente alla ventesima edizione del Premio Trio di Trieste. Che cosa significa essere giovani in un panorama cameristico d’età mediamente più avanzata?
Nel nostro caso ha aiutato il fatto di essere giovani anagraficamente, ma “datati” come trio. Di solito chi studia al Conservatorio aspetta di completare il percorso di preparazione individuale per unirsi in formazioni più o meno numerose. Noi abbiamo fatto il percorso inverso, quindi siamo già molto affiatati e soprattutto abbiamo sempre orientato lo studio in una prospettiva cameristica. Ciascuno si esercita per se stesso – ed è importante curare prima di tutto la performance singola – ma anche per il trio. Proviamo insieme, rinfrescando spesso il repertorio e mettendoci continuamente in discussione. Abbiamo energia e voglia di sperimentare.
Come avete vissuto il lockdown?
Questi ultimi mesi sono stati terribili, prima di tutto per la scarsa attenzione alla cultura, quasi bistrattata, o comunque ignorata per mesi dalle autorità. Gli operatori dello spettacolo hanno saputo resistere e inserirsi in tutti gli spazi possibili, dimostrando un impegno e un coraggio che derivano dalla passione con cui si lavora in questo ambito. Noi non abbiamo mai smesso di suonare, la musica è stato un appoggio, il porto sicuro in cui ci siamo rifugiati e anche il modo per non annoiarci. Lo studio musicale è per noi pratica quotidiana da quando siamo bambini, ma necessita di un profondo lavoro di introspezione. Io (Lorenzo, ndr.) mi sono avvicinato al pianoforte per la prima volta a sette anni, quando ascoltai il mio insegnante delle elementari suonare il Rondò alla turca di Mozart. Amore fin dalla prima nota. Edoardo invece ha scoperto il violino per sbaglio: si era iscritto a un corso di batteria, ma l’insegnante quel giorno non si presentò e fu sostituito da un collega violinista…
Com’è stato tornare a suonare dal vivo?
Un’emozione unica. La musica da camera è un lavoro d’insieme che si fa con il pubblico, imparando dagli spettatori, cogliendo il gradimento dalle espressioni dei loro volti e dal calore degli applausi. Lo streaming non fa per noi. Domani sarà il primo concerto di nuovo in presenza dal palco dell’Unione Musicale, che è un punto di riferimento nella nostra crescita perché l’abbiamo frequentata anzitutto da ascoltatori. Il repertorio che abbiamo scelto ci è molto caro: Šostakovič e Brahms, entrambi alle loro prime prove compositive. Fa un certo effetto pensare che erano più giovani di noi quando si cimentarono nella scrittura di queste opere.
Quali progetti avete in cantiere per il futuro?
Il prossimo anno andremo tutti e tre a studiare a Basilea, dove seguiremo dei master individuali nei nostri strumenti, ma porteremo avanti anche il progetto del Trio. I concerti in programma sono tanti, e poi proveremo dei concorsi internazionali, che rappresentano il trampolino di lancio per i giovani gruppi. Cerchiamo di aprirci una via verso l’estero, ma rimaniamo legati all’Italia. Non vediamo l’ora di rimetterci in gioco.