Primavera. Bella stagione, clima mite e mare calmo. È il periodo dell’anno in cui i flussi di persone che cercano di giungere in Europa iniziano a intensificarsi, a rendersi maggiormente visibili, e a dettare l’agenda politico-mediatica. È da qualche settimana, infatti, che in Italia si è tornati a parlare di “emergenza immigrazione”, con i partiti che sgomitano per posizionarsi in prima linea sul tema, i governanti che accolgono le istanze dichiarando con forza la necessità di soluzioni in sede sovranazionale, e gli organi della stampa pronti a fagocitare questo flusso di comunicazione per provare a darvi un senso agli occhi dei lettori. Talvolta riuscendovi; spesso mancando l’obiettivo.
La notizia di queste ultime ore è la pubblicazione dei dati sugli ingressi irregolari di migranti da parte dall’agenzia europea Frontex, l’organo deputato al controllo e alla gestione delle frontiere esterne dell’Unione Europea. Nei primi quattro mesi del 2021 sono entrate illegalmente all’interno dei confini europei oltre 36mila persone, un terzo in più dello stesso periodo del 2020. Solo in aprile gli arrivi sono stati 7800, quattro volte il numero relativo allo stesso mese dello scorso anno. Per quanto riguarda il Mediterraneo Centrale, il dato è più che raddoppiato: +157%, pari a 11602 ingressi. Pressoché identica la cifra degli attraversamenti dai Balcani occidentali, quasi raddoppiata rispetto allo scorso anno.
Cosa c’è dietro i numeri
Occorre ricordare che nel 2020 i flussi migratori via terra e via mare sono crollati a causa delle grandi restrizioni agli spostamenti in risposta al dilagare del contagio da Covid-19, e che perciò un incremento (più o meno consistente) degli arrivi entro le frontiere del continente era largamente prevedibile. I dati di questo periodo, poi, non sono nemmeno lontanamente paragonabili ai picchi raggiunti nel quadriennio 2014-2017. Sette anni fa sono giunte in Italia dalla Libia e dal Mediterraneo 170mila persone; nel 2015 gli sbarchi sono stati 153mila; nel 2016 si è toccata una punta di 181mila. Numeri scesi a 119mila quattro anni fa, per poi crollare drasticamente a 23mila nel 2018 dopo gli accordi tra il governo Gentiloni e l’esecutivo di Tripoli, volti a sostenere finanziariamente e operativamente la cosiddetta “guardia costiera libica” (in realtà un insieme di milizie che gestiscono il traffico di esseri umani, di idrocarburi e di stupefacenti nel Paese e fuori).
La situazione ha però comunque acquisito contorni di criticità nell’ultimo mese, in larga parte a causa dell’impreparazione delle istituzioni nazionali ed europee nel fronteggiare l’andamento fisiologico di un imponente fenomeno strutturale che accompagna il nostro tempo da almeno un decennio. Tra domenica 9 e lunedì 11 maggio 2021 sono sbarcate a Lampedusa 2200 persone, mettendo velocemente in crisi il già debole sistema di accoglienza dell’isola siciliana. Come riporta Annalisa Camilli nella newsletter Frontiere di Internazionale, “nella notte tra il 16 e il 17 maggio sono state soccorse due imbarcazioni: una con 61 persone a bordo, tra cui otto minori e cinque donne. Poco dopo è stata intercettata un’altra barca con 73 migranti. Dopo un primo screening sanitario, i migranti sono stati portati nell’hotspot di Contrada Imbriacola dove al momento ci sono circa 400 persone”. Più vicina alla Tunisia che all’Italia, Lampedusa ha assistito a numerosi arrivi autonomi di richiedenti asilo, data la totale assenza di mezzi di soccorso umanitari e l’inazione delle autorità nazionali. Non dovrebbe sorprendere, perciò, il fatto che oltre agli arrivi siano aumentati drasticamente anche i morti: “Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – continua Camilli – sono più di cinquecento, il triplo di quelli dello scorso anno”. Nelle ultime due settimane si è assistito a diversi naufragi, ad esempio la tragedia in cui hanno perso la vita (o risultano dispersi) 130 di quelli che Nello Scavo su Avvenire definisce Desaparecidos, esseri umani condannati a morte da chi li mette in mare e da chi, pur potendo fare qualcosa, preferisce chiudere gli occhi. Per ore erano state diramate richieste di aiuto, ignorate in una reazione a catena di rimpalli di responsabilità fra istituzioni governative e internazionali, come la stessa Frontex. Frontex che ha visto l’approvazione del proprio bilancio rimandata dal Parlamento Europeo per le accuse di violazioni dei diritti umani che pesano sull’agenzia, “fino a quando non saranno fatti ulteriori chiarimenti su una serie di questioni”. L’organo è infatti accusato di aver coordinato una serie di respingimenti illegali, soprattutto alla frontiera tra Grecia e Turchia. La pratica dei respingimenti da parte dei governi europei avrebbe, secondo il quotidiano britannico The Guardian, provocato la morte di almeno duemila persone, su oltre 40mila atti illegali di questo tipo. Quando non sono direttamente effettuati o organizzati da potenti istituzioni dell’Unione Europea, i respingimenti vengono da quest’ultima delegati a Paesi terzi, nel migliore dei casi, o a gruppi armati legati a doppio filo con gli ambienti della criminalità organizzata. Come accade in Libia, in cui le milizie già citate, finanziate da Unione e Italia, giocano un ruolo importantissimo nel bloccare i flussi migratori calpestando i diritti umani. E che ora, con la scarcerazione del noto trafficante Abdul Rahman al-Milad, detto Bija, forzano la mano in vista di una possibile inclusione nell’esercito libico dopo le elezioni fissate per il 24 dicembre: “Le milizie sono molte, e i loro capi non vogliono perdere la presa che hanno su affari politico-militari. Il flusso viene utilizzato come arma non convenzionale per alzare il prezzo” aveva dichiarato Scavo a FuturaNews il 2 marzo.
Quale diplomazia?
Quanto appena descritto contrasta in maniera evidente con le dichiarazioni e le intenzioni manifestate dai leader politici italiani ed europei rispetto alle strategie da attuare per gestire la progressiva crescita dei flussi verso il continente. Il governo Draghi, infatti, ha intenzione di coordinarsi con i Paesi europei e le istituzioni dell’Unione per ripristinare gli accordi di Malta, che prevedono il ricollocamento volontario dei richiedenti asilo in Europa, opzione rivelatasi fallimentare sin dalla sua realizzazione. Tale desiderio di riprendere un percorso così accidentato dimostra la permanenza dell’approccio emergenziale alla questione migratoria, che talvolta si manifesta anche in casi virtuosi, come l’arrivo di 40 migranti in Italia attraverso i corridoi umanitari dall’isola di Lesbo. Le politiche annunciate stonano anche alla luce del fatto che a proporle sono gli stessi esponenti di governo che hanno lodato l’operato di chi non rispetta i diritti fondamentali dell’essere umano: il presidente del Consiglio Mario Draghi ha recentemente ringraziato i libici per i “salvataggi” (in realtà respingimenti illegali da parte di milizie), mentre la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha più volte applaudito all’azione delle autorità libiche e greche. L’Italia è stata condannata a gennaio dal Tribunale di Roma per aver respinto un cittadino pakistano al confine con la Slovenia, a cui è stato infine consentito di richiedere protezione internazionale.
Tra Roma e Bruxelles
Al di là delle soluzioni senza reali sbocchi a lungo termine, il Parlamento Europeo ha da anni approvato una riforma del Regolamento di Dublino che prevede il ricollocamento obbligatorio dei migranti in tutti gli Stati dell’Unione. Riforma arenatasi nell’altro organo legislativo, il Consiglio Europeo, a causa degli egoismi nazionali: “Il tema migratorio, ahimè, forse perché le vittime sono per lo più persone che non votano, è un tema dove il livello di sensibilizzazione, di comprensione della situazione, di pressione sugli Stati, sui governi da parte dell’opinioni pubbliche è molto più scarso” aveva affermato in un’intervista a FuturaNews l’europarlamentare PD Brando Benifei. “Noi abbiamo bisogno che cambi la percezione dell’opinione pubblica, altrimenti il regolamento di Dublino non si cambierà mai. Credo che serva un salto di qualità nella volontà politica, che soltanto con una maggiore consapevolezza delle società, e la volontà di spingere le formazioni politiche a cambiare atteggiamento si può perseguire, ovviamente anche grazie a una spinta che venga da avanguardie di cittadini, organizzazioni che chiedano prima di tutto il rispetto dei diritti fondamentali, delle convenzioni internazionali e delle norme esistenti”.