I fatti esistono perché qualcuno li racconta.
Dostoevskij, le sue storie, le cercava tra le pagine dei giornali, almeno così racconta il premio Nobel Svetlana Aleksievic in un’intervista per “Repubblica”. In questo caso le cronache dei quotidiani non servono solo a raccontare. Senza il contributo dei giornali, infatti, i manicomi non avrebbero chiuso, almeno non nel 1978. Sono passati 43 anni dall’approvazione della legge 108, chiamata anche legge Basaglia. La data formale che segna la fine dell’istituzione manicomiale.
C’è un prima
Francoforte 1339, per i canali della Nidda viaggiano navi cariche di folli, rimessi alle acque, abbandonati sui battelli. Li raccolgono dalle città, sono quelli che urlano, che girano nudi, a volte sono solo vagabondi. Allora li prendono dalle strade e li portano sulle banchine, lì aspettano le navi, le navi che non tornano, che li portano lontani, abbandonandoli su altre sponde per poi ripartire, sempre senza una meta.
1656, e Parigi traghetta la follia dall’imbarcamento all’internamento. È l’anno del decreto di fondazione dell’Hospital General. La lebbra ha lasciato 19mila cicatrici in terra europea e il progressivo ritirarsi della piaga viene magistralmente riempito e reinterpretato da quello che Foucault chiamerà “il terzo stato della repressione” a sfavore della malattia mentale. Inizia così la storia dei manicomi. In meno di 50 anni la malattia mentale viene relegata in uno spazio specifico. Lì può essere esclusa, discriminata, denunciata. Uno spazio per separare ciò che è buono da ciò che non lo è. Nel tempo si consolida, l’istituzione manicomiale diventa luogo di coercizione, vive sull’asimmetria di potere.
Poi arriva il no. Basaglia, la Psichiatria Democratica, un’idea nuova di cura che sfida la repressione. Sono gli anni 70, incastrati tra il terrorismo degli anni di piombo e l’affermazione dei diritti civili, e Basaglia mette in discussione le contraddizioni pseudoscientifiche dell’istituzione manicomiale. Non nega la malattia, ma la ripensa all’interno della struttura sociale, immagina una cura. E inizia una battaglia che non può essere vinta senza la consapevolezza, quella che deve infiltrarsi nell’opinione pubblica. Tra il 1968 e il 1978 si gioca la scommessa, e l’Italia sarà il primo paese al mondo a chiudere sulla carta i manicomi.
Ecco come entrano in scena i quotidiani, loro, i co-protagonisti della guerriglia. In dieci anni inchieste, interviste, testimonianze, inviati e cronisti che scrivono per sensibilizzare l’opinione pubblica sugli orrori perpetrati dentro le mura manicomiali. A raccontare la storia del sopruso sono i protagonisti della cultura del tempo: Indro Montanelli, Angelo Boca, Dacia Maraini, Natalia Aspesi. E poi si infiltra la stampa internazionale che dà voce Noam Chomsky, Michel Foucault, Jean-Paul Sartre. Pile di articoli per ricostruire la brutta storia di un’epoca. Tutto si gioca su una tensione ideologica e culturale. Una tensione che parte da idee isolate che acquisiscono risonanza grazie ai quotidiani. Dagli episodi di cronaca nera sull’elettroshock, alle narrazioni che che raccontano Collegno, “luogo che turba la coscienza e il cuore”, fino all’inchiesta Villa Azzurra di Grugliasco, sui bambini reclusi e seviziati, legati ai letti, immersi nelle loro stesse feci. Le interviste ai pazienti abusati danno voce viva al sopruso. Non solo, ritraggono in modo diverso il malato, che acquisisce umanità, attraverso la lucidità espositiva dei virgolettati. La forza dell’indignazione stimolata dall’osservazione dei fatti. L’immediatezza, la prossimità, la ripetitività, sono i punti di forza dei quotidiani. Così riescono ad innescare una partecipazione emotiva forte. In prima linea La Stampa e L’Unità , ma a spalleggiare la battaglia si schierano anche Corriere della Sera, L’Espresso, Repubblica, la Gazzetta del Popolo, il Messaggero, ill Mattino, il Manifesto, Il Giorno e Il Gazzettino. Attraverso quei racconti si è potuto sbirciare oltre le mura manicomiali e portare al di fuori delle recinzioni nuove narrazioni non contaminate dall’istituzione.
La Stampa 1966 : Visita al manicomio di Collegno http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,0107_01_1966_0016_0009_8806342/
La Stampa 1966: Il Manicomio di Via Giulio è una vergogna per Torino http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/Itemid,3/action,viewer/page,2/articleid,0107_01_1966_0011_0002_8803633/
La Stampa 1969: Lettere dal manicomio http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,4/articleid,0124_01_1969_0021_0004_17748166/
La Stampa 1969: Squarcio di vita in manicomio http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,4/articleid,0126_01_1969_0110_0004_4942874/
La Stampa 1970: L’inchiesta a Villa Azzurra http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,5/articleid,0132_01_1970_0159_0005_17973232/
La Stampa 1971: Cento lettere dal manicomio http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,5/articleid,0140_01_1971_0259_0005_4836985/
La Stampa 1971: Il manicomio agonizza http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,5/articleid,0140_01_1971_0281_0005_4633907/
L’Unità 1977: Il problema psichiatrico tra giustizia e sanità https://archivio.unita.news/assets/main/1977/07/17/page_004.pdf
L’Unità 1979: Manicomi giudiziari lagher, non luoghi di assenza https://archivio.unita.news/assets/main/1979/05/21/page_004.pdf
La Stampa 1987: Denuncia dei famigliare contro l’ex manicomio di Collegno: http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,16/articleid,0981_01_1987_0210_0016_13571632/
C’è un dopo
È 13 maggio 1978, il Parlamento approva la legge 108. Una formulazione incompleta che lascia lo stesso Basaglia con l’amaro in bocca. L’idea è che la legge del 1904, quella regolava l’istituzione manicomiale, fosse uscita dalla porta per rientrare dalla finestra. Una legge compromesso che apre però uno spiraglio.
Bisogna aspettare il 1994 per ottenere il “Progetto Obiettivo Nazionale per la tutela della salute mentale 1994-1995”, che definisce prioritaria la costituzione del Dipartimento di salute mentale all’interno di tutte le ASL. Sempre nel 1994 la legge 724/94 fissa per la prima volta l’obbligo della definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici al 31 dicembre 1996. Nel 1996 la legge 662/96 impone alle regioni di adottare, entro un anno, “idonei strumenti di pianificazione inerenti alla tutela della salute mentale e finalizzati alla effettiva chiusura dei residui manicomiali entro l’anno”. Come unica spinta per il reale superamento degli Ospedali Psichiatrici vengono imposte poi una serie di sanzioni per le Regioni inadempienti, affiancato dall’ Osservatorio per la tutela della salute mentale” imposto dal Ministero della Sanità, con il compito di verificare l’operato delle Regioni. L’ultima legge finanziaria ha come termine il 31 marzo 1998 e specifica il divieto al reimpiego delle aree e edifici degli ospedali psichiatrici.
Oggi, nonostante la distribuzione capillare, gli investimenti e le ricerche nell’ambito della farmacologia e della psicoterapia, si denuncia un aumento della malattia mentale. L’Oms nel 2019 scatta una fotografia inquietante: salute psichica è a rischio, la depressione al primo posto nella lista delle malattie mentali.
Ma anche quei dati del 2019 sono un prima. Prima, infatti, di una pandemia che ha lasciato vittime e cicatrici permanenti, per molti nei polmoni, per altri nella mente. Quelli saranno i danni da calcolare e raccontare bene nel futuro prossimo.