E’ la parodia di un Dante contemporaneo. Esiliato anche lui, da un’altra terra, e continua a raccontare la politica che l’ha visto protagonista. Ha la tragicità della scomunica addosso sporcata da un sapore anni 90, quello dei blog personali alla MySpace. Bandito dalla sua patria, i social, Trump si racconta come eroe tradito. E lo fa attraverso la piattaforma “From the Desk of Donald Trump”, inaugurata il 4 maggio. Qui la drammaticità sfocia nel grottesco: nulla di nuovo. Dietro il look alla Twitter però c’è di più. All’apparenza la piattaforma altro non è che un blog su WordPress che strizza l’occhio all’estetica social, ma attenzione, all’apparenza. “Non lo chiamerei un blog, piuttosto un surrogato dei social: lui chiede agli altri di ricondividere i suoi contenuti, quelli postati sul sito”, esordisce Cristopher Cepernich, sociologo dei media e dei fenomeni politici e presidente dell’Associazione Italiana di Comunicazione politica. Un escamotage per raggiungere i social media per vie traverse. Insomma se Trump non può più twittare in modo compulsivo fa in modo che altri, i suoi seguaci, diffondano il verbo nelle terre negate dei social.
La piattaforma funziona così: gli utenti possono leggere i post di Trump, poi condividerli su Twitter e Facebook, ma non possono commentare direttamente i post dell’ex presidente o pubblicare i propri contenuti sulla piattaforma. Trump, per ora, sembra essere l’unico utente attivo. “Niente di innovativo, la piattaforma di Trump è un sito web. Post preconfezionati messi a disposizione della fanbase. Un’infrastruttura per organizzare, attraverso call to action, i suoi seguaci. Trump ha fatto un restyling di una pratica già esistente, ma con un’anomalia: lui non può usare i social”.
In principio fu.
Tutto inizia con l’attacco a Capitol Hill, il 6 gennaio. Trump è accusato di incitamento alla violenza, viene bannato da tutte le piattaforme. Lui nega, punta il dito contro le grandi aziende tecnologiche e denuncia la soppressione della libertà di parola. Non è che gli altri lo ascoltino e quindi rimane esiliato oltre i confini dei social media. Ma lui ha bisogno di raccontarsi, perché è attraverso le narrazioni personali che nutre la sua struttura mitologica. E infatti sul sito la retorica da ciclo dei Nibelunghi torna: è Trump ad aver detronizzato dinastie politiche, che ha sconfitto l’establishment di Washington consacrandosi come primo outsider eletto a Presidente. Non può farlo sui social e continua il suo racconto su “From the Desk of Donald Trump”, l’ecosistema digitale creato dall’ex responsabile della sua campagna elettorale Brad Parscale e fornito da Campaign Nucleus. “È un nodo di rete che serve a far uscire contenuti. L’obiettivo della piattaforma di Trump è buttare fuori i post, far si che oltrepassino i perimetri della sua fanbase, vadano oltre, raggiungano altre persone. La possibilità di impatto viene dalla sua capacità di farsi condividere, e Trump ha una leadership forte, quindi può ottenere un risultato efficiente”, continua Cepernich. Sono le fondamenta della comunicazione politica. Trump la sua base elettorale ce l’ha, ed è forte, fedele. Tra i seguaci resiste anche un versante estremista e fanatico che combatte per l’epopea trumpiana. Quindi: Trump non è presente sui social, ma non importa. Il sito diventa una base operativa dove smistare e organizzare i contenuti da dare in pasto ad altri utenti: quelli che l’ex presidente vuole accogliere all’interno della sua base elettorale per allargarla. I suoi fedelissimi altro non sono che camere d’eco. “Il Desk che è banalmente un sito acquisisce centralità perché l’ex presidente non può fare diversamente. Ma dal momento in cui c’è chi è disposto a ricondividere i contenuti la strategia politica regge e può raggiungere il suo obiettivo. Inoltre il fatto che sia bandito va a mobilitare quella fanbase, li porta a difendere Trump. Tre elementi diventano centrali: vittimismo, fanatismo e l’emozionalizzazione di contenuti, sono la benzina che rende efficace questa strategia” sottolinea Cepernich. Trump vuole attivare hub molecolari, sa come farlo, sa che può farlo. Nel mentre racconta, ma come sempre, in modo scomposto e arruffato le sue verità: lui vende. E così promette di presentare un precedente nella storia dei social network. Il desk come nuovo Twitter personale, in grado di aggirare le censure, l’alternativa a quei social che l’hanno estromesso. “Ma manca delle caratteristiche base di un social media, il sito di Barak Obama: barackobama.com, si avvicinava molto di più, sfruttava le funzionalità di social networking. I membri potevano pubblicare foto, formare gruppi, organizzare eventi. Quello di Trump è un canale monodirezionale” conclude Cepernich.
È un ibrido il nuovo giocattolo di Trump: l’appeal da Twitter non lo rende un social, gli obiettivi da social lo snaturano dall’essere solamente un sito. Una rete di sicurezza per arginare la scomunica dell’ex presidente, che continuerà comunque a farsi sentire quando e come vorrà, anche se “proverà si come sa di sale il social altrui”. O gli lascerà il gusto, più banale, di un amante tradito.