Sono principalmente Italia e Germania i paesi coinvolti nella maxi operazione contro la ‘ndrangheta, che si è conclusa stamattina, 5 maggio, con l’esecuzione di 33 misure cautelari emesse dai tribunali di Torino e di Costanza. L’accusa è di delitti quali associazione mafiosa e finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, riciclaggio, intestazione fittizia di beni ed estorsione, con l’aggravante del metodo mafioso. Oltre alle 33 persone colpite dalle ordinanze, ci sono altri 65 indagati.
Il quadro è in piena evoluzione: da stamattina sono in corso circa 60 perquisizioni in entrambi i paesi, mentre sono già stati sequestrati aziende, immobili, autoveicoli, conti correnti bancari e postali, per un valore non ancora quantificato, ma che ammonterebbe a diversi milioni di Euro. Le forze di polizia impiegate sono notevoli: dalla direzione investigativa antimafia di Torino alla polizia, carabinieri e guardia di finanza. Il coordinamento è transnazionale, ed è stato reso possibile da Eurojust ed Europol, le agenzie europee per la cooperazione giudiziaria e di polizia.
Come ha illustrato stamattina in conferenza stampa al palazzo di giustizia la procuratore capo di Torino, Anna Maria Loreto, l’indagine, iniziata nel 2016, segue due arterie fondamentali. Una si concentra sugli interessi economici della cosca locale di Volpiano, che fa capo alla famiglia Agresta, la più influente in Piemonte.
Tramite l’aiuto di un collaboratore di giustizia, gli inquirenti sono riusciti a risalire a cinque società edilizie intestate a un sistema di prestanome ma riconducibili agli Agresta, tutte poste sotto sequestro. La stessa sorte è toccata anche a due bar nel centro di Torino e a un rivenditore di tabacchi di Volpiano. La quantità dei beni evidenzia, come ha detto Loreto, che “in Piemonte non c’è zona che possa definirsi franca dalla ‘ndrangheta; rifugge da gesti eclatanti, e prolifera tramite le attività economiche, sempre intestate a terze persone; in questo modo può reimpiegare i proventi illeciti”.
La seconda arteria riguarda invece il reimpiego del denaro dal traffico di cocaina da parte della famiglia Giorgi, originaria di San Luca, in provincia di Reggio Calabria. Una rete che unisce l’Olanda all’Italia: una volta arrivata, la sostanza veniva distribuita in Piemonte, Lombardia, Sardegna e Sicilia. E qui entra in scena la Germania, perché i componenti della ‘ndrina, stando agli inquirenti, riciclavano i proventi del traffico investendo in attività economiche nella regione turistica del Baden-Württemberg, a sud ovest del paese. Da una rete di ristoranti, fra i quali il “Paganini” sul lago di Costanza, all’import-export di automobili, alla rivendita di prodotti alimentari.
A proposito del commercio alimentare, il procuratore capo di Costanza Johannes George Roth, intervenuto alla conferenza stampa, ha illustrato il modello di business usato dalla ‘ndrangheta in Germania: “I gruppi criminali importavano i prodotti italiani e li distribuivano ai ristoranti, anche usando l’intimidazione, direttamente o tramite fornitori di fiducia. Ma non hanno versato le imposte sulle vendite, e i profitti illeciti sono stati sistematicamente trasferiti in Italia”. L’evasione del fisco tedesco ammonterebbe a 2 milioni di Euro.
Un’operazione che sottolinea l’infiltrazione pervasiva della ‘ndrangheta nell’economia legale. L’intervento del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho evidenzia una pericolosa posizione di potere nel mondo della ristorazione che permette all’organizzazione di accedere al mercato legale: “Bar e ristoranti sono le attività di innesco per infiltrarsi: si tratta di locali che permettono alle ‘ndrine di socializzare e conoscere il luogo dove si insediano e le persone che vi risiedono”. Col risultato, come la stessa maxi evasione al fisco tedesco evidenzia, che “la ‘ndrangheta è un soggetto di grande pericolosità, proprio perché inquina l’economia dei paesi in cui riesce a stabilirsi”.