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L’eredità di Napoleone su Torino e il Piemonte

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"Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro"

Con questi versi inizia la celebre ode “Il cinque maggio” scritta da Alessandro Manzoni nel 1821. Il titolo fa riferimento al giorno convenzionalmente riconosciuto per indicare la morte del condottiero, generale e imperatore francese Napoleone Bonaparte, del quale proprio oggi ricorre il bicentenario della scomparsa. Quella di Napoleone è una figura che non necessita di presentazioni: le sue imprese sconvolsero tutto il continente. La vicenda storica dell’imperatore però investì anche Torino e il Piemonte. Lo ha raccontato la dottoressa Francesca Rocci, docente di storia, in un libro pubblicato proprio in questi giorni da Edizioni del Capricorno.

Il testo ricostruisce la vicenda del Piemonte e dell’Europa a partire dalla Rivoluzione francese fino al 1815, anno della definitiva sconfitta di Waterloo che pose fine all’esperienza politica di Bonaparte. Al suo interno si raccontato gli anni di guerra, le insurrezioni e le rivolte, l’occupazione francese, la fuga del re, l’annessione del Piemonte alla Francia. Ma non solo. Il libro racconta anche piccoli aneddoti che segnarono quel periodo e aiutano a comprendere la storia della regione. Ne sono stati selezionati alcuni:

L’Albero della Libertà in Piazza Castello

Dopo la caduta della monarchia nel dicembre 1798, le truppe francesi entrarono trionfanti a Torino. Nei giorni seguenti, si susseguirono discorsi, ringraziamenti, pubbliche manifestazioni come quelle di “abbruciamento” dei titoli di nobiltà, come segno di rottura con il passato stato monarchico. L’11 dicembre 1798, in Piazza Castello, rinominata Piazza Nazionale, di fronte a un palco per gli oratori addobbato di fiori e drappi, fu innalzato l’Albero della Libertà, un palo altissimo tinto in fasce rossa, bianca e blu, con in alto la bandiera francese e il berretto frigio sulla cima. Altri ne vennero eretti in Piazza del Municipio, in Piazza dell’Albergo dell’Unione, nel ghetto ebraico, sulla piazza davanti alla Porta Nuova, in Borgo Po, in piazza Carignano. Sarebbero stati tutti abbattuti il 26 maggio 1799, con l’ingresso in città delle truppe austro-russe.

L’intraprendente giornalismo nel Piemonte repubblicano

Con la fuga del re Carlo Emanuele IV di Savoia e il passaggio alla repubblica nel 1798 i cittadini del Piemonte ottennero nuovi diritti civili, tra cui la libertà di stampa. Insieme al riconoscimento del diritto d’autore e al fervore politico di quei momenti, questo diede inizio a una stagione prospera anche per il giornalismo. I due periodici, esistenti già in epoca monarchica, “La Gazzetta piemontese” e “L’Osservatore piemontese”, cessarono presto le pubblicazioni, ma l contempo nacquero numerose nuove testate rivoluzionarie, tra cui “Il Repubblicano piemontese”, sotto la direzione di Modesto Paroletti, “La Libertà Vendicata”, il “Journal de la Réunion”, che sosteneva l’annessione del Piemonte alla Francia, il “Giornale delle Guardie nazionali” e anche “La Vera Repubblica”, diretto da una donna, Vittoria Manno, fatto all’epoca assolutamente straordinario e simbolo del cambiamento culturale.

L’Associazione Culturale “Le vie del Tempo” in collaborazione con l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino hanno realizzato un cortometraggio dove si recita integralmente “Il cinque maggio” di Alessandro Manzoni.

Il municipio torinese senza torre

Durante il dominio francese, fu abbattuta la vecchia torre che si ergeva a fianco del Palazzo del Municipio. Erano lavori in programma fin da quando era stata disegnata la nuova via Doragrossa (l’attuale via Garibaldi), ma che non erano ancora stati avviati. La distruzione del campanile civico costituiva un importante simbolo: la cessazione del potere politico del popolo occupato. I lavori ebbero inizio il 5 aprile 1801: furono montate impalcature e recintata la zona, vennero smontati il toro di metallo che svettava sulla torre, le campane e l’orologio, mentre le macerie furono trasportate nei fossi presso Porta Susa, Porta Palazzo e Palazzo Madama. Un nuovo quadrante dell’orologio fu montato sulla facciata del Palazzo Civico, dove entrò in funzione a mezzogiorno del 17 settembre 1801. Il toro venne invece trasferito al Museo nazionale di Storia Naturale e nel 1813, si decise di collocare sul tetto del Palazzo civico la campana rimossa dalla torre abbattuta. I progetti fatti dopo la Restaurazione per ricostruire la torre non vennero mai realizzati e la città ne restò priva.

I vaccini di Buniva

Michele Buniva, medico originario di Pinerolo, fu pioniere della vaccinazione antivaiolo nel Piemonte di epoca napoleonica. Buniva aveva compiuto parte dei suoi studi in Francia, era stato docente di Medicina già sotto Vittorio Amedeo III di Savoia. Dopo l’unificazione del Piemonte con la Francia, venne nominato presidente del Consiglio Superiore di Sanità, diventando il personaggio preminente nel mondo medico piemontese. In quegli anni diede grande impulso alla Scuola di Veterinaria, traferendola dal comune di Chivasso al parco del Valentino. Buniva profuse il suo impegno, anche personale, nella diffusione del vaccino contro il vaiolo, diventando pure presidente del Comitato per la vaccinazione a Torino. Un esempio di responsabilità medica e sociale valido ancora oggi.

Napoleone a Torino e in Piemonte nel 1805

Napoleone, nel tragitto fatto per essere incoronato Re d’Italia nel 1805, toccò anche il Piemonte, accolto ovunque con tutti gli onori. Rimase a Torino per tre giorni. Dopo essersi fermato a Stupinigi, dove ha sede la Palazzina di Caccia della famiglia Savoia, dal 19 al 23 aprile, il giorno dopo entrò trionfalmente in città, dove fu applaudito e pubblicamente celebrato. I principali palazzi urbani vennero decorati per l’occasione e anche il portone principale dell’Università recò l’effige dell’imperatore. Vi furono un ricevimento ufficiale, le luminarie, uno spettacolo rappresentativo di glorie e vittorie napoleoniche, un ballo di gala nel Teatro Imperiale (oggi Teatro Regio), dove si tenne anche una rappresentazione del Mitridate. Napoleone ricevette i cittadini eminenti a Palazzo Imperiale (l’odierno Palazzo Reale), oltre a visitare l’Arsenale e la Cittadella.

L’imperatore era giunto in Italia attraversò il passo del Moncenisio. Nei pressi del valico, lui e il suo seguito erano stati colti dalla tormenta. Napoleone aveva tentato di continuare il tragitto a piedi, ma presto era stato costretto a lasciarsi condurre dai montanari che gli facevano da guida fino all’Ospizio. Per gratitudine e ricordo di quell’evento, il condottiero di Ajaccio assegnò all’istituto una lauta dotazione in denaro.

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