In un periodo di grande crisi come quello in cui viviamo, le persone cercano parole che indichino la strada maestra, risposte alla domanda “come faremo ad uscirne?”. E qualcuno indica le aule, la scuola in generale. Martedì 4 maggio la scrittrice Dacia Maraini, una delle principali voci del panorama culturale italiano dell’ultimo mezzo secolo, ha tenuto un incontro online organizzato dal Circolo dei Lettori di Torino, intervistata da Stefania Auci, per presentare il suo ultimo libro. Il titolo suona quasi come una promessa messianica, ma anche come la risposta alla domanda iniziale: “La scuola ci salverà”.
Il libro, edito da Solferino e curato da Eugenio Murrali, è una raccolta di saggi e di racconti nella quale la scrittrice di Fiesole raduna i suoi pensieri, impressioni, dubbi, ricordi e proposte sulla scuola, pubblicati su giornali e riviste nel corso degli ultimi 30 anni. Durante l’incontro si è cercato di delineare quello che è il pensiero dell’autrice sull’istruzione oggi nel nostro paese e di capire perché il futuro dell’Italia sia legato a doppio filo con quello dell’educazione. Ne è emerso un quadro poliedrico, ricco tanto di gravi criticità quanto di preziosi esempi positivi.
Nell’esordio del suo intervento, Maraini ha affermato: “La scuola è importante perché serve a non pensarsi solo nell’ottica della famiglia, ma a diventare cittadini. Serve a confrontarsi con persone di altre origini, culture, religioni. Ora questo ruolo dipende molto dagli insegnanti che si sostituiscono a quella che una volta era l’istituzione. Gli insegnanti sono straordinari.”
Il ruolo di formazione del cittadino è propedeutico dell’educazione scolastica. Un valore importante tanto quanto, se non più, del semplice processo di trasferimento di nozioni, per le quali, secondo Dacia Maraini: “ormai esiste Wikipedia”. La scuola ha quindi il ruolo – centrale per una società democratica – di educare il cittadino, ma allora perché tale compito ricade sulle spalle dei singoli docenti?
A questa domanda risponde sempre l’autrice: “La burocrazia affligge soprattutto i dirigenti che non possono ragionare sulle idee perché devono compilare carta. La cosa strana è che l’Italia è un paese molto individualista e anarchico, però si danno continuamente regole rigide e univoche. Noi poi non sappiamo spendere i soldi che ci vengono dati e questo problema si ripropone oggi nella scuola, che richiede investimenti per il futuro”.
Ciò che manca oggi è l’interesse della politica, la quale dovrebbe fare un investimento etico ed emotivo, oltre che economico. L’impressione è che oggi l’istruzione non formi cittadini consapevoli, ma individui inseriti nel processo produttivo, con un modello aziendalistico. A tal proposito Dacia Maraini ha commentato: “C’è un equivoco, noi pensiamo che dare sia uno scambio, c’è un’idea commerciale. Bisognerebbe tornare all’idea del dare senza nessun cambio. Dare senza aspettarsi nulla è un atto di grande energia, come dice Erich Fromm. Dare come do ut des è un’idea commerciale”.
Altro grande tema toccato nell’incontro è quello legato alla differenza geografica che segna il nostro paese, diviso tra Nord e Sud. Secondo la saggista, questo divario potrebbe avere radici storiche e antropologiche: “La meritocrazia è una conquista culturale, non è un’idea astratta. Il Sud è stato molto tempo sotto il dominio di altri paesi e si è sviluppata l’idea che le cose si ottengono non per il valore, ma per il favore verso gli altri. Per noi l’amministrazione è un nemico da evitare, da prendere in giro. L’idea della furbizia nasce così, lo Stato è un nemico. Le tasse non pagate sono una cosa grave. 150 miliardi di tasse non pagate sono un fenomeno diffuso, che segnala l’idea di uno stato nemico che deve essere derubato. La meritocrazia rientra in questa idea, perché non conta il valore, non si ha fiducia che venga ricompensato, si deve appartenere a un gruppo, una famiglia una classe, la bandierina. La meritocrazia non è una cosa che viene dall’alto, va conquistata”.
Se è giusto riconoscere un valore al merito, allora bisogna anche darlo all’autrice che ancora dopo tanti anni riesce a fotografare la situazione del nostro paese, evidenziandone pregi e difetti, e cerca di assolvere alla funzione sociale dell’intellettuale: indicare una strada.