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La mafia si combatte in Università. “Li avete uccisi, ma non vi siete accorti che erano semi”

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Ruggero Clemenza ha 24 anni e sta studiando all’Università di Pisa. Un giorno viene attratto da un libro: Mafie vecchie, mafie nuove di Rocco Sciarrone, un professore dell’Università di Torino. Ruggero viene da Palermo: “Sentivo la mafia come un grande problema della mia terra. Volevo saperne di più”. Tra una pagina e l’altra prende una decisione: lascia Pisa e si sposta in Piemonte, vuole studiare la criminalità organizzata. Il risultato è una laurea magistrale con tesi sull’origine della ‘ndrangheta a Torino e un dottorato che sta iniziando in questi mesi. “Appassionarsi di mafia in modo non scientifico è molto diverso che studiarla nei corsi universitari” spiega. Nel primo caso “si fanno spesso generalizzazioni su aspetti che invece vanno analizzati e definiti con molta precisione”. La sua storia è simile a quella di decine di giovani: girano l’Italia per studiare le mafie.

Ieri si è celebrata la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie: 1002 persone. Nomi, volti, storie che insegnano ancora. “Li avete uccisi, ma non vi siete accorti che erano semi”: i frutti, oggi, germogliano anche nelle Università. Non era così fino a quindici anni fa.

Quando lo studio della mafia germoglia in Università

“C’è speranza, Professore?”. Nando dalla Chiesa si sente ripetere spesso questa domanda alla fine delle sue lezioni. Nel 2008 ha avviato il primo corso italiano in “Sociologia della criminalità organizzata” con sede all’Università Statale di Milano. Dopo tredici anni, gli insegnamenti sulle mafie sono diventati otto. Si sono aggiunti i laboratori professionalizzanti, i curricula magistrali e un dottorato internazionale: tutto è raccolto nell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata. Per il Professor dalla Chiesa c’è una chiara necessità: “Lasciare in Università una struttura e un metodo”. Proprio come fece tra le forze dell’ordine suo padre, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, prima di essere ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982. “Pensai a cosa sarebbe successo in questo Paese se l’Università avesse formato le nuove generazioni al tema della criminalità organizzata. Se si fosse occupata anche di etica delle professioni, il tallone d’Achille del nostro Paese”: la risposta è un impegno che continua anche oggi. Il Professor dalla Chiesa ha raccontato la nascita dei primi corsi accademici sulla mafia durante la lezione inaugurale del nuovo anno accademico del Corso di Dottorato in Studi sulla Criminalità Organizzata, lo scorso novembre.

L’attenzione alle mafie in Università arriva in ritardo rispetto agli altri ordini di scuole. Rimozione culturale e sottovalutazione teorica sono solo due dei tanti ostacoli da affrontare. Dalla Chiesa lo ribadisce ogni volta: “Non ci possiamo permettere di pensare che la questione della criminalità organizzata sia marginale dentro la nostra storia”. E questo, oggi, gli studenti lo capiscono.

Alcuni di loro hanno fatto dello studio accademico un impegno di vita. Come Pierpaolo Farina, che oggi ha 32 anni e nel 2012 ha fondato, insieme a Francesco Moiraghi, Wikimafia: un’enciclopedia di persone, eventi e processi giuridici sul  fenomeno mafioso. “Cerchiamo di fare in ambito accademico ciò che Rocco Chinnici aveva progettato in ambito giudiziario con il pool antimafia: organizziamo le informazioni”. Pierpaolo oggi sta concludendo il suo dottorato in studi sulla criminalità organizzata, con una tesi su rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia. Racconta cosa significhi fare ricerca in questo ambito: ci sono problemi. Molti riguardano i fondi economici, le querele che possono arrivare per il proprio lavoro e l’accesso al territorio. Per verificare quello che si studia sui documenti è necessario scendere in campo a livello locale: “Devi muoverti con molta attenzione, trovare i contatti giusti e farti sempre guidare. Con poche risorse è difficile”. E dopo i dottorati, il problema è spesso la spendibilità delle competenze. “Molti dei miei compagni di studi sono ora all’estero: si occupano di antimafia in Spagna, Portogallo, Giappone”. L’Università forma eccellenze, ma il capitale prodotto resta fermo: anche con il miglior curriculum, l’accesso al mondo accademico è un miraggio. Le alternative sono l’antimafia nelle scuole di grado inferiore, con un orizzonte di continua precarietà, o le consulenze per aziende ed enti: ruoli tecnici con un’utilità molto variabile nel tempo. “Se potessimo usare sul territorio le risorse che si formano in Università, faremmo un enorme passo avanti nella lotta alla mafia”.

Studiare la criminalità organizzata a Torino

Eppure il numero di studenti che si interessano criminalità organizzata sta crescendo. “Nessuno dei miei corsi è obbligatorio” spiega il professor Sciarrone, titolare di due insegnamenti in materia all’Università di Torino. “Ma la partecipazione è altissima, così come le proposte di tesi di laurea”. Oggi i suoi studenti sono 150 in triennale e 300 in magistrale e arrivano da diversi dipartimenti. Il corso principale è quello di Sociologia della criminalità organizzata. È nato anche Larco – Laboratorio di analisi e ricerca sulla criminalità organizzata, che svolge attività di ricerca e formazione. Proprio in questi giorni si discutono alcune tesi di laurea: mafia durante il fascismo, rapporto tra chiesa e mafia, terra dei fuochi, presenza della ’ndrangheta nell’astigiano. Le attività dell’Università sono molto legate all’associazionismo locale, Libera in primis. La principale sfida per il futuro è “rendere sistemiche le attività, in modo che non dipendano più dall’iniziativa di singoli docenti”. E riveste un ruolo fondamentale il rapporto con il territorio: si auspica “una maggiore sinergia con gli enti locali: ci sono tante cose da fare insieme”.

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