Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione delle norme del Codice della Navigazione. Sono le accuse della procura di Ragusa, che ha indagato la società armatrice della nave “Mare Jonio”. La nave della Ong “Mediterranea Saving Humans” è l’unica organizzazione non governativa italiana che, al momento, opera nel Mediterraneo centrale al fine di salvare le vite in mare. L’inchiesta si concentra sul trasbordo di 27 migranti dal rimorchiatore di Maersk Etienne alla nave della Ong, che li ha fatti sbarcare il 12 settembre a Pozzallo. Il trasferimento aveva visto il plauso dell’Onu, ma la magistratura ritiene che un pagamento di 120mila euro da parte Maersk, formalmente un compenso per regolari attività, sia stato in realtà un contributo per l’accordo sul trasferimento. Le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono molto frequenti: è impossibile, infatti, richiedere protezione internazionale senza entrare in Italia in maniera irregolare.
Le precedenti accuse mosse dalla magistratura non hanno ancora portato a condanne e gli stessi inquirenti hanno precisato come l’indagine non abbia come focus l’attività delle navi Ong in mare. Un impatto, sull’opinione pubblica, però, è indubbio, tanto che tali inchieste spesso vengono citate da chi da tempo mette in dubbio proprio l’operato delle organizzazioni umanitarie nel Mediterraneo. La stessa accusa è stata rivolta a Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, che hanno visto la propria casa perquisita dalle forze dell’ordine in relazione all’attività della loro associazione “Linea d’Ombra”, che a Trieste si prende cura di chi arriva dalla rotta balcanica.
L’indagine su Mare Jonio è stata annunciata in un momento molto drammatico per le migrazioni dal Nordafrica. Come riporta Annalisa Camilli nella newsletter “Frontiere”, di Internazionale, nell’ultima settimana si sono succedute due tragedie. Due naufragi, al largo della Libia, hanno causato la morte rispettivamente di almeno 41 persone e almeno 15 persone. Nello Scavo, inviato di Avvenire (sotto scorta dal novembre 2019 in seguito alla sua inchiesta sul trafficante libico Bija), contattato telefonicamente da FuturaNews spiega che “l’aumento delle partenze ha coinciso con la crisi politica in Italia, l’insediamento del nuovo governo in Italia e quello del nuovo governo in Libia. È un segnale potente da parte delle milizie, soprattutto per riaprire un negoziato per la loro inclusione nell’esercito libico. Le milizie sono molte, e i loro capi non vogliono perdere la presa che hanno su affari politico-militari. Il flusso viene utilizzato come arma non convenzionale per alzare il prezzo”.
Il potere delle milizie e l’eventualità di una deposizione delle armi da parte loro, in vista dell’inclusione nell’esercito nazionale, sono state temi centrali dell’incontro “Libia senza pace?” organizzato ieri dall’editrice “Città Nuova”. Presenti, tra gli altri, proprio Nello Scavo e, ospite d’eccezione, l’ambasciatore e Inviato Speciale del ministero degli Esteri per la Libia, Pasquale Ferrara.
Ferrara, come rappresentante dell’Italia, ripone molta fiducia nel nuovo governo di transizione eletto a Ginevra a inizio febbraio. Un gruppo di rappresentanti libici, infatti, aveva scelto come capo del consiglio presidenziale Mohammed al Menfi, e Abdulhamid Dbeibeh quale primo ministro. Saranno loro a dover guidare il paese verso le elezioni, fissate per il 24 dicembre. Nel corso del suo intervento alla videoconferenza, ha affermato che l’unico piano in grado di funzionare sia “una Libia unificata e riconciliata, con un governo legittimato. Possiamo fare discorsi di sviluppo e di cooperazione internazionale, ma se non arriviamo a questo punto non riusciremo a mettere in campo tutte le nostre potenzialità nei discorsi con la Libia. Vedo il bicchiere mezzo pieno: pochi mesi fa i libici si sparavano addosso. Oggi c’è un cessate il fuoco, un processo politico avviato dall’Onu che ha dato dei risultati. La nostra ‘stella polare’ è un paese che riconquisti la sua unità e riconfiguri il suo patto nazionale”.
Il discorso, poi si è concentrato sul ruolo, nei futuri negoziati, delle milizie presenti sul territorio. Una costellazione di organizzazioni implicate nel traffico di esseri umani, idrocarburi e anche stupefacenti, in collaborazione con le mafie italiane. Entità con cui Italia e Unione Europea collaborano, e che cercheranno di mantenere una posizione di potere anche nella transizione. “In Libia c’è una situazione di anomia, ovvero la mancanza di controllo da parte di un’autorità centrale, con una conseguente frammentazione delle forze. Occorrerà una riforma del settore della sicurezza, che vada di pari passo con la smobilitazione, il disarmo e il reintegro dei miliziani. Un obiettivo importantissimo è l’arrivo ad un esercito sotto il comando di un ministro della Difesa politico, non militare”.
Un terzo punto su cui l’Inviato speciale si è soffermato è il negoziato, iniziato con il precedente capo del Governo di Tripoli Al-Sarraj, rispetto al superamento della formula centri di detenzione: “Quelli ufficiali sono solo una piccola parte. La maggior parte sono centri non ufficiali, senza garanzie e senza controlli. Serve istituire un meccanismo di verifica da parte delle Nazioni Unite, che non sia solo declaratorio”. Sono 12mila, infatti, le persone intercettate in mare e riportate indietro nel 2020 dalla cosiddetta “Guardia costiera libica”, che spesso coincide con le milizie di cui si parlava poco sopra. Ma la stima sulle presenze nei campi ufficiali si ferma a circa 3mila persone. È verosimile, perciò, che tutti gli altri siano detenuti in centri non ufficiali, a cui le organizzazioni internazionali non hanno il benché minimo accesso.
“L’incontro con l’ambasciatore Ferrara mi ha sorpreso” racconta Scavo, “perché per la prima volta ho sentito dire che le condizioni dei centri, anche quelli ufficiali, non sono gestiti secondo gli standard dei diritti umani, e che servono strutture in cui l’Onu possa accedere senza limitazioni. Allo stato attuale, le Nazioni Unite devono sottostare alle condizioni delle autorità per poter effettuare i propri controlli”. Vien da sé, quindi, che con una settimana di preavviso i centri di detenzione possano essere predisposti per soddisfare le condizioni agli occhi di chi visita. “Poter avere accesso libero, indipendente, indisturbato, anche senza preavviso, cambierebbe le cose. Quanto detto dall’Inviato speciale Ferrara delinea un passo in avanti: viene contraddetto lo storytelling ufficiale dei governi Gentiloni, Conte I e Conte II sulle condizioni dei migranti in Libia”. Gli esiti possibili, secondo il giornalista, sono due: “O aumenterà il livello delle denunce dell’Onu” spiega “oppure le autorità libiche saranno costrette a ristrutturare la gestione dei campi profughi”. Una buona notizia, anche se piccola, è arrivata il 22 febbraio. Le autorità libiche, infatti, hanno liberato più di 150 migranti, incusi 15 donne e cinque bambini, detenuti in un centro di detenzione illegale di Kufra. L’operazione è avvenuta in seguito alla denuncia da parte di un migrante fuggito dal complesso delle violenze sistematiche perpetrate sui detenuti, originari principalmente della Somalia, del Sudan e dell’Eritrea. Di certo questo non basta per migliorare le condizioni dei profughi nel paese, ma per quelle 150 vite sicuramente si tratta di un passo importante.
E proprio un ex esponente del governo Gentiloni, l’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti, si è dimesso questa settimana dal suo ruolo di deputato per assumere la guida della nuova fondazione di Leonardo-Finmeccanica, Med-or. Le sue aree di competenza sarebbero il Mediterraneo allargato fin sotto il Sahara, il Medio e l’estremo oriente. Il passaggio di Minniti a Med-or ha suscitato polemiche in quanto il settore in cui opera Leonardo-Finmeccanica è stato il maggior beneficiario degli accordi europei con i Paesi di origine e transito dei migranti, fra cui il controverso Memorandum siglato con la Libia proprio dal governo di cui Minniti faceva parte. “Se in Leonardo hanno scelto Minniti per una nuova fondazione” dice Scavo “è perché ritingono che per la tutela dei propri interessi strategici, che hanno rilevanza politica, Minniti faccia al caso loro. Il problema è che questo riconosce che l’attività politica svolta in questi anni è stata orientata in una direzione molto precisa, che favorisce la mission di certe aziende. Non ne sono sorpreso”.