Luis Sepúlveda perde la sua battaglia contro il Coronavirus. È morto questa mattina all’ospedale di Oviedo, dove era ricoverato dallo scorso febbraio dopo il test positivo al covid-19.
Scrittore, sceneggiatore e regista cileno amato in tutto il mondo, aveva compiuto 70 anni lo scorso 4 ottobre. Nel 1973 venne arrestato e torturato durante la dittatura di Pinochet e poi condannato all’esilio.
Sepúlveda ci lascia in eredità decine di romanzi, libri di viaggio e saggi. Ma, soprattutto, favole. Storie dedicate all’infanzia che hanno, però, permesso anche agli adulti di conoscere un po’ meglio se stessi. Racconti in cui lo scrittore ha reso protagonisti degli animali per parlare di quotidianità e rappresentare dinamiche emotive e sociali in cui molto spesso ci perdiamo. In queste favole Sepúlveda ha portato i suoi principi e i suoi valori per far comprendere ai lettori, di tutte le età, il mondo che ci circonda.
Quattro sono le principali storie che l’autore dedica ai ragazzi. “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, “Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico”, “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza” e “Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà”.
Tutte queste narrazioni sono accomunate da uno stile intimo, preciso. E mai astratto. I contenuti, caratterizzati dall’immediatezza e dalla semplicità di esperienze di vita diverse, offrono riflessioni profonde sull’identità. Sull’amicizia. Sulla crescita. Senza mai scadere nel banale. Sono racconti confinati nell’orizzonte quotidiano di un appartamento, di un tetto. Del viale alberato sottostante.
La dimensione – quasi sempre cittadina ed europea – rende la struttura narrativa facilmente proponibile e affascinante per un pubblico di bambini. Ragazzi. E meno giovani. Come accade nella favola più celebre di Sepúlveda, “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” pubblicata nel 1996. Un racconto in terza persona in cui viene celebrata una storia di accudimento e crescita di un gatto nero goffo ma gentile – Zorba – ed un uovo di gabbiano che regalerà una pulcina, Fortunata, di cui sarà lui stesso ad occuparsi. È una storia che racconta la bellezza e l’impegno di accompagnare qualcuno, nella crescita, per spingerlo a spiccare il volo.
[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” align=”left” size=”1″ quote=”“Ora volerai” miagolò Zorba. “Ti voglio bene. Sei un gatto molto buono” stridette Fortunata. “Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo” miagolò Zorba. […] “Bene, gatto. Ci siamo riusciti” disse sospirando. “Sì sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante” miagolò Zorba. “Ah sì? E cosa ha capito?” chiese l’umano. “Che vola solo chi osa farlo” miagolò Zorba.” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]
Sepúlveda ha sempre coinvolto il lettore grazie ai suoi protagonisti uniti in coppie a prima vista improponibili. Come nella “Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico” (2012), in cui un felino diventato cieco ritrova i suoi occhi e la gioia dell’avventura grazie all’amicizia con un topo, inizialmente molto impaurito. E forse un po’ vigliacco. In “Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà” (2015), Sepúlveda narra la vicenda del bambino Aukaman e del suo cane lupo orgoglioso e intelligente Aufman, voce narrante, per ricordare ai lettori l’importanza dell’amicizia, della fedeltà e della difesa dell’ambiente, senza dimenticare le comunità indigene della Patagonia e le loro tradizioni. Infine, con “Storia di una lumaca che imparò l’importanza della lentezza” (2013), lo scrittore lascia il palcoscenico a questa intelligente protagonista abitante del Paese del Dente di Leone. Una lumaca che, pur accettando la propria debolezza e la propria vulnerabilità, decide di intraprendere un viaggio in solitaria per conoscere il motivo della propria lentezza. Insegnando, a noi, a riscoprire il senso perduto del tempo.
[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” align=”left” size=”1″ quote=”Forse aveva commesso un errore abbandonando il gruppo e la sicurezza della pianta di calicanto, pensava, ma allo stesso tempo qualcosa, una voce sconosciuta, le ripeteva che la lentezza doveva avere un motivo e che possedere un nome suo, soltanto suo, un nome che la rendesse unica e inconfondibile, doveva essere una cosa meravigliosa” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]