Era il 31 gennaio 2020. Sembra passata un’eternità, invece sono poco più di due mesi. Il mondo osservava la Cina, messa in ginocchio dalla violenza del Covid-19, e pregava. In Italia i primi due casi accertati (la coppia di turisti ricoverati allo Spallanzani di Roma) gettavano nel baratro le istituzioni e un’intera nazione. E così, prima di mezzanotte, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dichiarava lo stato di emergenza “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. Durata: sei mesi.
Da quel giorno un susseguirsi di decreti e ordinanze hanno paralizzato le nostre vite, segregandole in casa. Ad oggi l’attenzione è tutta sulla “Fase 2”, quella della convivenza con il virus, che dovrebbe scattare il prossimo 4 maggio. Ma, affianco al tanto auspicato ritorno alla normalità, in molti si interrogano sulla legittimità costituzionale dei provvedimenti restrittivi a cui siamo tuttora sottoposti. A preoccupare maggiormente sembra essere la possibilità di coniugare il diritto alla salute con le altre garanzie fondamentali della persona scandite nella Costituzione.
In particolare, il lockdown prolungato tramite il decreto legge 19 del 25 marzo e le relative disposizioni attuative hanno fatto sorgere dubbi sulle implicazioni legate agli articoli 16 (libertà di circolazione e di soggiorno), 19 (libertà di professare la propria fede religiosa e di esercitarne in pubblico il culto) e 41 (libertà di iniziativa economica privata). Interpellato sull’argomento, Roberto Cavallo Perin, docente ordinario di diritto amministrativo all’Università di Torino, ha espresso molte perplessità sul fatto che la Corte costituzionale continui a giudicare idoneo l’operato del Governo nel prossimo futuro.
Professor Roberto Cavallo Perin, dall’inizio dello stato di emergenza lei ritiene che il Governo si sia mosso pienamente all’interno della cornice costituzionale?
L’emergenza sanitaria di questi mesi ci ha trascinato in una situazione mai vista prima e assolutamente fuori dall’ordinario. Per questo era impossibile per il Governo agire diversamente da quanto è stato fatto, ossia costringere tutti in casa salvo rare eccezioni. Si è sentito molto parlare di violazione dell’articolo 13 (inviolabilità della libertà personale) ma fino ad oggi nessuno ha mai seriamente pensato di rimproverare le istituzioni per l’operato: la crisi non ha precedenti e quindi non ci sono ricette pronte. Certamente in molti hanno sottolineato come siano state eluse tutte le normali tempistiche di adozione di provvedimenti provvisori nei “casi eccezionali di necessità e urgenza”. Di solito infatti essi “devono essere comunicati entro quarantotto ore all’Autorità giudiziaria”, che li deve convalidare nelle successive quarantotto ore per renderli effettivi. E questo non è successo.
Pensa che questo possa portare ad un intervento della Corte costituzionale?
Può avvenire, ma il ragionamento è più articolato. Non credo che la Corte interverrà per le implicazioni con l’articolo 13, ma per quelle legate alla libertà di circolazione dell’articolo 16. Questa infatti può essere sospesa per “motivi di sanità e sicurezza”. Ma le condizioni di salute pubblica stanno cambiando giorno dopo giorno e tutti noi ci auguriamo che migliorino notevolmente nel breve tempo. Per questo, nel caso specifico, ritengo che la Corte si baserà prevalentemente sul principio di proporzionalità per giudicare gli interventi presi. La chiusura totale a cui l’Italia è sottoposta potrebbe essere ritenuta un provvedimento giusto per fronteggiare questa prima fase, ma non per sempre. A differenza di quanto comunemente si pensa, la costituzionalità è un concetto attivo, dinamico. Essa cambia con il passare del tempo e il diversificarsi delle situazioni. Esiste una costituzionalità in un primo tempo e ne esiste una diversa in un tempo successivo.
C’è chi sostiene che sia stata immolata la libertà personale (articolo 13) sull’altare della salute collettiva (articolo 32), senza fare alcuna distinzione tra cittadini sani e contagiati. Pensa sia una chiave di lettura possibile?
Era il 30 gennaio scorso quando il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità dichiarava il focolaio di Covid-19 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Da quel giorno le istituzioni si sono preoccupate solamente di intervenire sulla salute dei cittadini e sulle limitazioni da adottare, cosa di cui si sarebbero occupati in ogni modo migliaia di medici, scienziati e specialisti in tutta Italia. Non è stato dato ampio raggio nell’affrontare l’emergenza. Questi due mesi sarebbero dovuti servire ad immaginare una convivenza con il virus, non limitandosi a reagire all’immediatezza degli eventi. Bene lo stato di emergenza, bene le ordinanze e le misure restrittive. Ma questo non basta se vogliamo immaginare una ripartenza del Paese in tempi brevi. E non parlo solo del Governo, ma di chiunque ricopre una posizione apicale, dalle regioni ai comuni, dalle aziende alle università.
A proposito di università, l’articolo 33 della Costituzione sancisce la “libertà dell’insegnamento”. Questo principio può essere rispettato con una modalità interamente a distanza?
Abbiamo bisogno di ripensare il modo di insegnare e di fare scuola. La parola chiave deve essere flessibilità. C’è bisogno di aule nuove e attrezzate per un rientro degli studenti che sia graduale, sicuro e controllato. Il mondo dell’istruzione e dell’università deve prendere la palla al balzo e trasformare questa crisi in un’occasione di estremo rinnovamento. Snellire, sburocratizzare, informatizzare. Solo così potremo ridurre al minimo le relazioni superflue, individuare le attività veramente essenziali e concentrare gli sforzi per rafforzarle. Banda larga, nuove app, geo-localizzazione: al giorno d’oggi possiamo contare sulla collaborazione di moltissime nuove tecnologie e sarebbe un peccato mortale non servirsene. Tutto questo perché ritengo che ci siano degli aspetti di particolare importanza della didattica e dell’apprendimento che necessiteranno sempre di un confronto in presenza tra i docenti e gli studenti.
Proprio negli ultimi giorni dal mondo produttivo sono arrivate molte richieste di ripresa dell’attività lavorativa. La critica più frequente che viene rivolta al Governo è quella di essere in ritardo sull’utilizzo di app e tecnologie che permettano alle imprese di ripartire, violando l’articolo 41 della Costituzione. Concorda?
Ripeto, io credo che la prospettiva debba essere quella di una convivenza sempre maggiore della nostra società con le problematiche legate al virus. E questo può avvenire solo se ci serviamo pienamente delle tecnologie di cui disponiamo. Sacrificando anche un po’ della nostra privacy, se necessario. Faccio un esempio. Si potrebbe eliminare ogni spostamento dei cittadini relativo alla spesa e agli acquisti. Oggi conosciamo le abitudini e le preferenze di tutti; inoltre molti mezzi pubblici sono fermi, con una conseguente disponibilità di molti lavoratori dei trasporti. Si potrebbero quindi razionalizzare gli sforzi, portando direttamente a casa ciò che serve alle famiglie e organizzando gli spostamenti dei singoli individui. Così molte persone potrebbero ricominciare a lavorare e i loro spostamenti sarebbero previsti, tracciati e avverrebbero nella massima sicurezza. In questo modo sarebbe difficile contestare la violazione di qualsiasi principio costituzionale.