“Quella notte ero in camera con mia sorella, più piccola di me. Alle 3.32, quando è venuta la grande scossa io ero sveglia, perché avevo sentito quelle precedenti e mi era venuta paura”. Arianna ha 17 anni la notte del 6 aprile 2009, quando un tremendo terremoto distrugge la sua città, L’Aquila, e provoca ben 309 vittime. Ha 17 anni e tanta paura. Quando sente la scossa più forte di quelle precedenti alza immediatamente la sorellina dal letto e insieme si precipitano giù per le scale della loro casa. “All’inizio eravamo sotto shock. Abbiamo capito quasi subito che si trattava di un terremoto perché nei giorni precedenti c’erano state altre scosse. Però nei primi istanti a regnare era l’ansia. Pensavo a tante cose assieme. Alla mia routine che non ci sarebbe più stata”.
Ad una settimana dal sisma i genitori di Arianna comprano una roulotte. La mettono in cortile, vicino a dove abita la nonna, al piano di sotto della loro casa. Per i mesi successivi Arianna e i suoi familiari mangiano tutti assieme nell’alloggio della nonna e dormono nella roulotte. “Siamo andati avanti così da aprile fino a ottobre. Ci scaldavamo con le stufette e si stava bene”. Nel frattempo cominciano a razionalizzare e a metabolizzare l’accaduto, si rendono conto che in realtà la loro situazione non è così disastrosa. Sono tanti coloro che hanno visto le loro case essere completamente distrutte. “La nostra invece aveva subito qualche danno, ma riparabile. Si era staccata una parte della scala esterna e poi c’erano stati altri danni, ma lievi. In ogni caso con le sovvenzioni dello Stato pian piano siamo riusciti a tornare a vivere nella nostra casa” racconta Arianna.
Masso dopo masso, così come la casa, anche la città dell’Aquila pian piano comincia la ricostruzione. E oggi Arianna pensa che sia quasi vicina ad una nuova vita. “In questi anni è stato fatto molto. I lavori proseguono e si inizia a intravedere una luce in fondo al tunnel. La città è tornata a vivere, almeno in parte. Qualche locale ha riaperto. Piano piano si sta cercando di tornare alla normalità. Certo c’è ancora tanto da fare” sottolinea la ragazza.
Oggi Arianna ha 28 anni. È cresciuta. È diventata una donna. Ha deciso di non abbandonare L’Aquila. “Molti miei amici hanno dovuto andare via. Io non ho mai pensato di lasciarla perché è la mia città. C’è tutta la mia famiglia, e poi credo che un problema non si risolva scappando. Mi sono allontanata due anni da qui per studiare da estetista a Teramo, ma poi sono tornata. Ora sono qua” sottolinea fiera la donna. All’Aquila si è costruita una nuova famiglia. Ha un compagno e un figlio di 2 anni, a cui un giorno racconterà della notte più difficile della sua vita. “Al mio bimbo dirò che è stata una notte complicata. Un manicomio. Mi sono sentita catapultata in una centrifuga. Mi sono chiesta che cosa stesse succedendo. Gli racconterò che nessuno di noi sapeva dove andare se non in una macchina. E che è brutto quando ci si ritrova in una realtà che si discosta dalla la propria vita” spiega Arianna.
Oggi è l’undicesimo anniversario della notte più dura della sua vita. Un anniversario un po’ particolare perché per le misure restrittive dovute all’emergenza Coronavirus non si è potuta effettuare la tradizionale fiaccolata nella notte, come invece è avvenuto negli anni passati. “Mi spiace non aver potuto partecipare alla cerimonia, ma queste sono le misure a cui dobbiamo attenerci. Bisogna stare in casa”. Oggi, 6 aprile 2020 L’Aquila si trova ad affrontare un’altra emergenza, questa volta condivisa con tutta l’Italia e anche buona parte degli altri paesi del mondo. “Questa però penso sia peggio del terremoto, perché almeno in quell’occasione si poteva stare tutti assieme – afferma Arianna – Ora invece si può solo rimanere da soli e per tutti noi, abituati a vivere sempre insieme, è molto difficile. Spero comunque che gli aquilani possano portare in questa emergenza la voglia di volersi bene e la spinta a collaborare che dovrebbero aver imparato durante il terremoto”.