Inquinamento. Fumo. Obesità. Prevenzione.
Da una parte tre fattori che potrebbero avere un ruolo nel peggiorare le complicanze dei quadri clinici di pazienti affetti da Covid-19. Dall’altra un termine che se convertito in azione può fare la differenza. Soprattutto in emergenze sanitarie come quella che stiamo vivendo ora.
A sottolinearlo è Enrico Ballor pneumologo all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Torino.
Partiamo dall’inizio. Che cos’è il Covid-19?
Si tratta di un virus che induce una malattia polmonare infiammatoria alveolo-interstiziale. Riguarda cioè gli alveoli – le cellette che scambiano ossigeno – e la parte interstiziale, cioè la struttura stromale del polmone e i bronchioli, la parte del polmone profondo.
In chi viene infettato, le manifestazioni radiologiche variano da individuo a individuo. Si possono osservare quadri drammatici di interessamento addirittura bilaterale dei polmoni, cioè di entrambi gli organi. E coinvolgendo entrambi i polmoni questa infiammazione può portare a un quadro di gravissima insufficienza respiratoria, e l’incapacità di scambiare ossigeno col sangue diventa più seria. Il Covid-19 è dunque un virus che provoca danni soprattutto a livello delle piccole vie aeree provocando una malattia alveolo-interstiziale e alveolo-bronchiolare che “tappa”, appunto, gli alveoli e i bronchi più piccoli.
Quanto incide il fumo di sigaretta e l’inquinamento nella complicazione clinica di pazienti polmonitico da Covid-19?
Il fumo è uno degli inquinanti delle vie aeree che più di altri provoca danni a livello del polmone profondo, quindi piccoli alveoli e bronchioli. L’inquinamento non è da meno. Se voi vedeste i polmoni di un soggetto non fumatore che vive in una città ad alta concentrazione di smog urbano vi rendeste conto dell’antracosi, una malattia polmonare del “marchio antracotico”, segnale anatomico di esposizione alla cronica inalazione di particelle carboniose, tipico di chi lavoro nelle miniere di carboni. Ebbene, questi polmoni presentano un importante residuo carbonioso. Non a caso gli organi si presentano molto scuri differentemente ad esempio di quelli dei neonati, che sono rosa.
Se prendiamo il riscontro autoptico di un individuo di 75 anni che vive in città noteremo dei polmoni scuri. Se poi il soggetto fuma saranno neri come il carbone. Per quanto riguardo lo smog, certamente gioca un ruolo importante nel determinare tutta una serie di patologie polmonari, soprattutto quelle ostruttive tra le quali l’asma bronchiale e la Bpco, la broncopneumopatia cronica ostruttiva . Quindi vivere in un ambiente ad alto tasso di smog urbano non facilita la situazione per un paziente polmonitico da Covid-19. Anzi, complica un quadro clinico già compromesso. Lo stesso si può dire per il fumo di sigaretta. L’obesità poi rappresenta un ulteriore fattore di rischio nei pazienti che in virtù della complicazione polmonitica dovessero essere inviati alla ventiloterapia delle rianimazioni.
Nonostante ciò attualmente disponiamo di pochi dati per trarre delle conclusioni scientifiche. Sarebbero poco serio, scientificamente, farlo ora. Tra l’altro, molti di questi sono imprecisi, parziali. In ogni caso chi dispone di polmoni sani e incorre di una infezione polmonare è più difficile che veda il proprio quadro clinico complicarsi. Non si tratta, però, di una regola assoluta.
Qual è la situazione oggi al San Luigi Gonzaga?
Posso dirle che siamo sempre molti attenti a indossare tutti i dispositivi di protezione personale che ci vengono forniti. Siamo immersi nel lavoro. Penso che oggi questa sia la priorità, non certo fare polemiche. Noi cerchiamo di lavorare seriamente e al meglio. Credo che se ognuno di noi fa la sua piccola parte possiamo davvero riuscire in questa impresa, cioè fare fronte comune contro questa infezione nel modo migliore. Proprio per questo eviterei critiche e giudizi in ogni senso.
Cosa significa per i cittadini fare la loro parte?
Prima di tutto bisogna capire che è fondamentale stare a casa, fare la spesa da soli e utilizzare la mascherina, così come evitare di andare ai giardinetti e a giocare a pallone. Sono tutte azioni che ci permettono di evitare un’ulteriore diffusione del virus.
Mai come in queste settimane si è parlato di influenza in relazione al Covid-19. Come viene percepita secondo lei dai cittadini?
Bisogna tornare a considerare anche la semplice influenza come una cosa seria. Tra il 1917 e 1918 quella spagnola fece 100 milioni di morti – di cui 20 milioni nella sola Europa – e un miliardo di contagiati. Certo, eravamo nell’era pre-antibiotica, ma oggi come allora dobbiamo convincerci che l’influenza non è da prendere sotto gamba. D’altra parte, se fosse una cosa di cui non preoccuparsi, la popolazione non verrebbe vaccinata contro l’influenza ogni autunno. Io stesso, negli ultimi tre anni, ho visto morire diversi pazienti -con un quadro clinico compromesso – a causa del virus influenzale H1N1.
Se l’influenza è una cosa seria il Covid-19 non è da meno, anzi. Purtroppo, a differenza delle prime comunicazioni sulla base dell’esperienza cinese, questo virus sembra avere sulla popolazione italiana, forse per questioni genetiche, un impatto peggiore. Ciò che infatti oggi ci spiazza è trovarci di fronte a un virus che colpisce anche persone teoricamente sane.
Oltre ai pazienti più anziani e a quelli immunodepressi, quali sono i soggetti più a rischio?
Pazienti in sovrappeso, fumatori, diabetici, portatori di patologie croniche cardio-respiratorie e renali, e soggetti che vivono in contesti più inquinati sono quelli che attualmente finiscono più facilmente in rianimazione. Certamente non si tratta di una regola assoluta. Ma la grande parte dei quadri clinici più gravi riguarda, in linea di massima, persone con questi profili.
Quando inizieremo ad avere dati e numeri certi su questo virus?
Le conclusioni le trarremo tra qualche mese. Nel frattempo continuiamo a ricordare alle persone di rispettare le regole che da settimane ci vengono costantemente comunicare. In primis, non mi stancherò mai di dirlo, non avere contatti diretti e rimanere in casa. Sono regole che, in realtà, dovevamo applicare già diverso tempo fa. Soprattutto davanti a una infezione come quella indotta dal Covid-19, un’infezione per la quale nessuno di noi ha gli anticorpi.
Immagini di appellarsi ai cittadini. Che cosa chiederebbe loro?
Rispondo partendo da un esempio. Se una quantità sempre maggiore di persone continua a contrarre il virus a una velocità sempre più sostenuta, il rischio è di non poter fornire a tutti l’assistenza medica necessaria. Il dramma sta proprio qui, nell’esplosione quantitativa concentrata nel tempo. Prendiamo ad esempio l’infarto. Se in ospedale arrivano contemporaneamente mille persone infartuate potremmo non riuscire a curarne neanche una, raggiungendo così il 100% di mortalità per una patologia che invece presenta in Italia un tasso di mortalità molto più basso.
Per questo dico che l’aiuto più grande che tutti i cittadini possono dare si riassume in una semplice parola. Prevenzione.