Qui chi non terrorizza si ammala di terrore, avrebbe detto Fabrizio de Andrè del coronavirus. Da giorni la crescente psicosi verso l’influenza che arriva dalla Cina, e che da un paio di settimane sta boccando l’Italia, ha prodotto episodi che sono sfociati sempre di più nel razzismo. Dai cartelli affissi a Roma, che vietavano l’ingresso a chi proviene dalla Cina, ai bambini cinesi discriminati a scuola, ai ristoranti vuoti per paura del contagio, fino alle ultime aggressioni. I cinesi sarebbero gli untori della malattia, anche se da anni hanno pochi o nessun contatto con la terra d’origine.
Sono pregiudizi che insorgono spesso insieme alle epidemie, verso quelle etnie che sono percepite come una “popolazione che, pur mascherandosi ipocritamente sotto parvenze di civiltà” è invece, “‘diversa’, come i ‘selvaggi’ erano diversi dagli uomini ‘civili'”. Sono parole di Furio Jesi, antropologo e filosofo, che ha studiato la funzione del mito nelle ideologie di estrema destra. Jesi si riferiva agli ebrei, che nelle culture di destra rappresentano il popolo che comanda il mondo e che, nel passato sono spesso stati accusati di diffondere il morbo.
Lo dimostra la Peste Nera, che arrivò nel 1347 nel porto di Messina. Fin da subito la colpa del contagio venne data agli ebrei. Come racconta la storica Anna Foa nel libro Ebrei in Europa: dalla peste nera all’emancipazione, a partire dall’estate seguente cominciò a circolare l’accusa che gli ebrei avvelenassero fonti e pozzi. Alcuni di loro furono torturati, come successe in Savoia, e ammisero l’esistenza di un complotto in cui era coinvolta tutta la popolazione ebraica. Presto si scatenarono ondate di violenza in tutto il continente. Il papa fu costretto ad emanare una bolla in cui mostrava che anche gli ebrei morivano di peste e quindi non potevano averla causata intenzionalmente.
Non era la prima volta che il popolo semita veniva preso di mira per il suo presunto odio contro i cristiani. Già dall’anno Mille si era diffusa la cosiddetta “accusa del sangue” che insinuava che alcuni gruppi di ebrei rapissero i bambini per berne il sangue e compiere rituali di magia nera. E anche se una commissione voluta dall’imperatore Federico II aveva dimostrato che, come prescrive la Torah, per gli ebrei il sangue è “abomino”, l’accusa continuò a circolare fino al Novecento e diventò, grazie anche ai Protocolli dei Savi di Sion, una delle basi dell’antisemitismo nazista che secondo Jesi era dettato dalla paura “verso una “razza” di frequentatori di forze occulte, di maghi, di inquietanti personaggi-tramite fra l’immediata realtà del mondo e le sue presunte radici segrete”.
Legata alla magia è anche quella psicosi che ha percorso l’Europa centrale e l’America tra il XV e il XVIII secolo, la “caccia alle streghe”. Migliaia di donne e anche uomini, vennero accusate di diffondere ma- lattie tra uomini e bestie e di causare aborti e furono bruciate sul rogo. In realtà erano molto spesso levatrici, prostitute o praticanti di medicina popolare.
Nello stesso periodo, insieme alle nuove epidemie di peste, nacque la diceria dell’untore, secondo la quale la malattia veniva diffusa da alcuni misteriosi personaggi che ungevano, con oli e polveri velenose, le porte e i vestiti. Il primo a parlarne fu il medico Gerolamo Cardano, che raccontò un episodio avvenuto a Saluzzo. Molti innocenti furono giustiziati per queste voci, tra cui anche un antenato di Alessandro Manzoni, che poi dedicò alla peste molti capitoli dei Promessi Sposie l’inchiesta storica della Storia della Colonna Infame.
La paura dell’unzione causa ancora oggi molti stigmi. Succede con i malati di Hiv, che, secondo una ri- cerca della Lega italiana per la lotta contro l’Aids, nel 32% dei casi sono stati vittima di episodi discriminatori, soprattutto da parte dei partner sessuali e del personale medico.
Quello che sta succedendo con il coronavirus è l’ultimo di una lunga serie di casi e forse, come ha scritto il filosofo croato Slavoj Zizek, “dovremmo vergognarci noi che, in tutto il mondo, pensiamo solo a mettere in quarantena i cinesi”.