Il percorso di chi si sente a disagio guardando il proprio corpo allo specchio inizia per molti allo stesso modo, ma continua per ognuno in modo diverso, con tempi, sensibilità e consapevolezza proprie. In Piemonte questo cammino fa tappa al Centro Interdipartimentale Disforia di Genere – Molinette (Cidigem), fondato nel 2005 presso l’Azienda Ospedaliera San Giovanni Battista e della Città di Torino (Molinette). L’istituto è nato al fine di assicurare, in ambito pubblico, l’assistenza sanitaria attraverso medici chirurghi, psicologi, psichiatri ed endocrinologi alle persone con disforia di genere ed è diventato Centro di Riferimento Regionale.
“Dal punto di visto endocrinologico – illustra la dottoressa Giovanna Motta, endocrinologa del Centro – in questi anni abbiamo preso in carica circa 700 pazienti, solo nel 2019 ci sono stati 60 nuovi accessi, con un aumento notevole dei minorenni. Abbiamo cercato di depatologizzare questa condizione cercando allo stesso tempo una nomenclatura medica che permettesse di ricevere l’assistenza sanitaria”.
In Italia molti sono stati i passi avanti fatti dai primi interventi di cambio sesso regolamentati dalla legge 164 del 1982. Era il 1986 quando proprio a Torino l’allora primario di urologia dell’ospedale Mauriziano, il dottor Renato Marten Perolino iniziò ad effettuarli sui pazienti del Mauriziano. Successivamente è nato il Cidigem che ha ereditato la causa e da quindici anni affronta con modalità sempre più specialistiche una tematica complessa come il transessualismo. Oggi, secondo il Centro di riferimento di Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità le persone transgender sarebbero circa 400mila. Il Cidigem prenderà parte ad uno studio che analizzerà questa popolazione. Spesso risulta difficile “fotografare” un dato preciso, in quanto molte persone transgender non si rivolgono ai centri specializzati. Lo studio tenterà di farlo. Dai dati derivano poi le storie di ognuno che vengono seguite passo per passo dai professionisti del settore.
“C’è chi arriva consapevole rispetto alla propria identità, – spiega Chiara Crespi, psicologa del Cidigem. – poi ci sono le persone che hanno bisogno di chiarimenti avendo solo un sospetto. Una volta era netta la prevalenza degli uomini che si rivolgevano a noi, ora la situazione va equilibrandosi. Il Centro segue le linee guida dell’ Onig (Osservatorio Nazionale Identità di Genere) nato nel 1998. Vi è sempre stato un timing preciso che ora, sulla falsa riga dei protocolli internazionali, va verso la personalizzazione dei percorsi”. L’Osservatorio prevede un periodo di esplorazione dell’identità che va dai quattro ai sei mesi, prima di poter accedere al trattamento ormonale. Passaggio essenziale in cui vi è il supporto degli psicologi che giudicano l’indicazione al trattamento ormonale femminizzante o mascolinizzante. All’ultimo Convegno Nazionale dell’Onig si è parlato di una modifica che vada incontro alle esigenze del paziente: il primo periodo potrebbe durare quattro mesi, un anno, due mesi. Stessa cosa accadrà con il trattamento ormonale, il tempo che dovrà passare fino all’intervento varierà da persona a persona. Se il paziente vorrà operarsi. Dal 2015, infatti, è stata eliminata l’obbligatorietà dell’intervento chirurgico ai fini della rettifica anagrafica. Chiunque abbia affrontato un percorso del genere può decidere a questo punto di fermarsi, avrà un nome sul documento e un corpo da guardare allo specchio che riconoscerà già come suoi.
Articolo tratto dal Magazine Futura del 22 gennaio 2020. Leggi il Pdf cliccando qui.