Il mondo piange la scomparsa di Kobe Bryant, uno dei più grandi campioni nella storia della pallacanestro. È rimasto vittima di un incidente con il suo elicottero privato nella contea di Los Angeles ieri, 26 gennaio. Insieme a lui hanno perso la vita la figlia Gianna di 13 anni e altre sette persone. Sono state intanto identificate tutte le nove vittime dello schianto in elicottero. Insieme all’ex stella Nba e alla figlia 13enne, che erano attesi alla Mamba Sports Academy di Thousand Oaks per una partita di basket, hanno perso la vita l’esperto pilota di origini armene Ara Zobayan, John Altobelli, 56enne ex giocatore di baseball ed ora allenatore dell’Orange Coast College con la figlia Alyssa (coetanea e compagna di squadra di Gianna alla Mamba Academy) e la moglie Keri, Christina Mauser, assistente allenatrice di pallacanestro della Harbour Day School, infine Sarah e Payton Chester, mamma e figlia residenti a Orange Country.
La prima testata a dare la notizia è stata la rivista di soft news Tmz, confermata con il passare dei minuti da tutti i più importanti media statunitensi.
NBA legend Kobe Bryant was one of five people killed in a helicopter crash in Calabasas, California, sources tell CNN. He was 41. Follow live updates. https://t.co/gYqqNClmi3 pic.twitter.com/oqq0P1Pgti
— CNN Breaking News (@cnnbrk) January 26, 2020
Nelle ultime ore i messaggi di incredulità, sgomento e cordoglio da parte di atleti, giornalisti e appassionati di tutto il mondo sono stati numerosissimi. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello simbolico del tennista Nick Kyrgios: in campo per gli ottavi di finale degli Australian Open contro Rafael Nadal, è entrato sul terreno di gioco indossando la maglia n. 8 dei Los Angeles Lakers di Bryant.
This walk. This moment.
We’re ready for @NickKyrgios versus @RafaelNadal at the #AusOpenpic.twitter.com/jNhjowSGeh
— ATP Tour (@atptour) January 27, 2020
Il nome, Kobe, era sufficiente per capire che si stava parlando di lui, uno dei più grandi cestisti di sempre. I paragoni con la stella globale Michael Jordan non erano casuali: in 20 anni di carriera, Bryant si è costantemente ispirato allo stile di gioco, alla preparazione maniacale e all’ambizione sfrenata di MJ. Non è riuscito a eguagliare i suoi sei campionati vinti fermandosi a cinque (stagioni 2000, 2001, 2002, 2009 e 2010), ma lo ha superato nella classifica dei migliori marcatori della Nba, raggiungendone il mito.
“Words can’t describe the pain I’m feeling,” Michael Jordan said. “I loved Kobe — he was like a little brother to me.”https://t.co/uD1cDfGpTa
— The New York Times (@nytimes) January 27, 2020
La tristezza per la tragedia di Kobe tocca l’Italia più di tanti altri Paesi nel mondo. Dai 6 ai 13 anni visse qui a seguito del papà Joe, giocatore di Pistoia, Rieti, Reggio Calabria e Reggio Emilia. Aveva imparato bene la nostra lingua alle scuole elementari e medie, si divertiva a non farsi capire dagli americani quando in conferenza stampa gli capitava un giornalista italiano negli Usa e nel corso degli anni ha avuto parecchie interviste con i nostri media. Amava i luoghi della sua infanzia e visitare l’Italia, soprattutto Roma e Capri.
Lo abbiamo visto giocare al PalaCarrara durante gli intervalli delle partite di papà Joe.
Aveva un legame forte con la città di Pistoia e proprio qualche anno fa venne a farci visita.Che la terra ti sia lieve #Kobe.#KobeBryant pic.twitter.com/audX7xLttX
— Pistoia Basket 2000 (@PistoiaBasket) January 26, 2020
La sua prima palestra è stata a Reggio Emilia, dove tra il 1989 e il 1991 ha iniziato a giocare per la Pallacanestro Reggiana.
A differenza dei principali quotidiani sportivi europei, le testate italiane questa mattina, 27 gennaio, hanno scelto di dividere la prima pagina tra la notizia della tragica morte di Kobe e l’ultima giornata del Campionato di calcio.
Ogni tanto si potrebbero fare scelte diverse.
Il #calcio non è la cosa più importante
In Spagna e Francia (Marca ed Equipe) ne sono consapevoli.#Kobe pic.twitter.com/dqQ30M4b5i— Lapo De Carlo (@LapoDeCarlo1) January 27, 2020
Stupende e toccanti le prime pagine dei grandi quotidiani (esteri) su #Kobe, vera icona globale.
Una tragedia immane, dalla quale faccio fatica a riprendermi. pic.twitter.com/O8NSFqWozM
— Enrico Turcato (@EnricoTurcato) January 27, 2020
Chi era Kobe Bryant
https://www.youtube.com/watch?time_continue=7&v=x3x5C3iNLKo&feature=emb_logo
Il 4 marzo 2018 ha vinto il Premio Oscar insieme al regista e animatore Glen Keane, nella categoria miglior cortometraggio d’animazione per Dear Basketball, che ha sceneggiato ispirandosi alla sua lettera di addio al basket.
Novembre 2015. Tra le pagine del The Player’s Tribune spuntano le parole di Kobe Bryant. Con il titolo “Dear Basketball”, il numero 24 gialloviola annuncia il suo ritiro a fine stagione. Una scelta che nasce ad aprile 2013, quando durante l’incontro contro i Golden State Warriors, il tendine d’Achille cede. La maschera di dolore dura pochi secondi. La tenuta mentale del numero 24 gli permette di tirare i liberi, per poi accomodarsi in panchina in attese di visite mediche. 12 mesi di calvario, dopo l’operazione subita.
L’uscita prematura di quell’articolo, a stagione appena iniziata, permette al personaggio sportivo qualcosa che nessuno ha mai potuto avere: un “farewell tour” per le 30 arene delle squadre Nba. Dal Boston Garden, luogo di accesa rivalità in cui si sono combattute sfide epiche contro i Celtics, all’AT&T Center in Texas contro i San Antonio Spurs del coach ed amico Gregg Popovich, fino al 14 aprile 2016, la data dell’ultima partita nella casa che lo ha accolto per 20 anni consecutivi: lo Staples Center di Los Angeles. Durante questa stagione viene riproposta la carriera di Bryant, dagli 81 punti (secondo score realizzativo dopo i 100 di Wilt Chamberlain) contro i Toronto Raptors nel gennaio 2006, dalle prime sfide ai Cleveland Cavaliers del suo erede in maglia gialloviola Lebron James fino alla maglia di titolare nel Team Ovest agli ultimi All-Star Game.
Kobe 8:24. Non è un versetto della Bibbia, ma i numeri del suo cambiamento. I due numeri che hanno caratterizzato la sua carriera. Un viaggio con tanti momenti di pura euforia, ma segnati anche da tante cadute. Dai problemi giudiziari ai rapporti altalenanti con alcuni dei suoi compagni di squadra: il più famoso è quello con Shaquille O’Neal, centro tra i più forti della storia della pallacanestro, con cui Bryant ha vinto tre titoli. Un rapporto dilaniato dalla grande personalità dei due, dalla voglia di vincere di Bryant e dalla voglia di restare al comando della lega di O’Neal anche senza una grande cura del proprio corpo.
Kobe Bryant è stata l’immagine dell’ultimo ventennio Nba, insieme all’ala grande dei San Antonio Spurs Tim Duncan e il commissioner Nba David Stern, da poco mancato. I tre simboli di una lega, quella americana, che si è costruita sull’epopea di grandi eroi, e che ha visto il passaggio di consegne durante l’ultimo All Star Game di Michael Jordan. 9 febbraio 2003, Philips Arena di Atlanta, Georgia. Il mondo si prepara all’ultimo dei 14 All-Star Game di Michael Jordan,che a 40 anni gioca la sua ultima stagione NBA prima del terzo e definitivo ritiro. Primo overtime: le due squadre in perfetta parità, la palla è dell’Est. Il tiro della vittoria spetta a Jordan. Servito da Kidd, uno contro uno su Shawn Marion, tiro in fade away e la palla accarezza la retina. L’ultimo tiro, all’ultimo All-Star Game a 40 anni, in un overtime, che vale la vittoria. Il pubblico è in visibilio. Tra i 20.325 della Philips Arena e i 24 in campo Bryant non è d’accordo ad entrare nella storia dalla parte sbagliata. Quando mancano tre secondi, va via a Jermaine O’Neal, gli cerca la mano e si procura tre tiri liberi. Ne sbaglierà uno, ma Kobe Bryant in quel momento si prende la lega dalle mani del cestista più forte di tutti i tempi.
L’ultima partita è lo “statement” di Kobe alla pallacanestro. Il 14 aprile 2016, in uno Staples Center gremito, Kobe piazza 60 punti, con 22/50 dal campo, regalando l’ultima vittoria ai Lakers. Concluso il match contro gli Utah Jazz, Kobe ha il microfono in mano per ringraziare tutti coloro che lo hanno aiutato in questo viaggio, con accanto la moglie e i figli, tra cui la secondogenita Gianna, teneramente chiamata Gigi.
Alla fine del discorso, il microfono viene fatto cadere sul parquet.
Mamba Out.