Aprirsi a culture differenti per conoscere meglio sé stessi. “Non è facile abbandonare la propria città, la famiglia e il sistema universitario che si conosce, per navigare in acque sconosciute. Ci vuole anche una certa dose di coraggio. Lo scambio Erasmus non è solo studio, è anche formazione della personalità”, sostiene Umberto Morelli, professore di Storia delle Relazioni Internazionali, titolare della Cattedra Jean Monnet e coordinatore per i progetti Erasmus dei dipartimenti dell’Università di Torino.
Un periodo all’estero che esiste dal 1987, nato in un momento fortunato per il processo d’integrazione europeo. E che riguarda molti piemontesi. Questa mattina, mercoledì 14 marzo, nella Sala Viglione di Palazzo Lascaris (sede del Consiglio Regionale Piemonte) è stato presentato “Generazione Erasmus”, uno studio condotto dal Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino e realizzato con il sostegno della Consulta regionale dei Giovani e della Consulta Europea del Consiglio regionale del Piemonte. Il lavoro analizza i flussi di mobilità internazionale dell’Ateneo torinese a 30 anni dalla nascita del progetto.
“Nel 1988 45 studenti piemontesi partivano in Erasmus, erano invece 20 quelli che sceglievano di venire a Torino. Oggi partono in 1200 e accogliamo quasi 800 studenti stranieri nel nostro Ateneo”, sottolinea Morelli, che parla di “bilancio positivo”. Anche se non mancano alcune criticità: “Dobbiamo incentivare la partecipazione. A volte gli studenti vincono il bando ma poi decidono di non partire. Solo il 2 per cento degli studenti dell’Ateneo va all’estero”, nota Lorenza Operti, vice rettrice alla Didattica e all’Internazionalizzazione dell’Università di Torino.
Secondo Operti “ci vuole un impegno per avere più risorse e aumentare le opportunità dei nostri studenti”. Una richiesta che trova una possibile risposta nelle parole di Massimo Gaudina, capo della rappresentanza Ue a Milano, tra i presenti in sala. “La Commissione ha l’obiettivo di raddoppiare il bilancio dedicato all’Erasmus. Entro il 2020 vogliamo passare dai 14 ai 30 miliardi di euro”. “Chi partecipa a programmi di mobilità internazionale ha tempi di attesa minori per trovare lavoro. Ma soprattutto ha la possibilità di conoscere meglio sé stesso per capire che cosa vuole fare davvero in futuro”, afferma Gaudina. Parole che trovano d’accordo Emanuela Rabaglietti, delegata Erasmus per il dipartimento di Psicologia. “L’Erasmus è un contesto favorevole per i giovani. Hanno la possibilità di trovare occasioni preziose per la loro vita professionale”.