Turisti per un giorno fra le colline del Monferrato e una cucina peruviana
di Lucrezia Clemente e Corinna Mori
Parte 1 – Gli chef
Venti persone indossano i grembiuli. Davanti a loro, sul piano d’acciaio, scodelle, cucchiai e coltelli disposti ordinatamente. Gli ingredienti sono già stati tagliati, preparati e amalgamati in piccole ciotoline trasparenti. Una cuoca agguerrita, di cui dalle ultime file si vede spuntare solo il cappello bianco, descrive i passaggi per realizzare alcuni piatti tipici della cucina peruviana: causa di baccalà, chevice peruano e bourgeoise di quinoa. Il set ricorda volontariamente quello del talent show di cucina Masterchef che sta spopolando in tutto il mondo. La sfida non è difficile e non sono previste eliminazioni, ma gli chef Roxana e Don Pedro si divertono nei loro ruoli e, passando fra i banchi, assaggiano le salse degli aspiranti cuochi, a cui aggiungono dosi generose di sale o un pizzico di zenzero.
Basta una goccia messa sul dorso della mano, il pubblico aspetta il responso in silenzio. Nel frattempo raccontano della comunità peruviana, numerosa e ben radicata a Torino, a cui si rivolgono con cibi che hanno il sapore di casa, ma sono preparati con prodotti a km 0 per rafforzare il legame col territorio di adozione. Programmi televisivi di successo e attenzione alla sostenibilità ambientale sono le nuove chiavi per conquistare appassionati di cucina e foodblogger più o meno improvvisati. Qualcuno non distingue il coriandolo dal sedano, ma l’entusiasmo è quel che conta. D’obbligo il momento dell’impiattamento, il salto di qualità dall’appassionato di cibo all’esperto di cucina: è grande la soddisfazione di vedere uscire un elegante tortino di patate e baccalà dallo stampino d’acciaio. Decorazioni di ribes, mais e patate dolci e le velleità culinarie sono soddisfatte.
Parte 2 – I sommelier
A salire sul pulmino per la gita organizzata dal Festival del giornalismo alimentare è un gruppo variegato. Prima tappa delle aziende vinicole del Monferrato è Canelli, paese dell’astigiano patria dello spumante. Le ragazze chiacchierano mentre l’esperto dispensa consigli; una coppia ascolta taciturna e il cameraman si prepara il lavoro. Con una tradizione di 186 anni e patrimonio dell’Unesco dal 2014, l’azienda vinicola Bosca punta oggi ad essere anche attrazione turistica. Le alte volte in mattoni sotto alle quali vengono conservate le bottiglie hanno fatto guadagnare alle cantine del paese il nome di “cattedrali sotterranee”. A Canelli ce ne sono ben 4 visitabili e per vederle i turisti arrivano da tutto il mondo, certi di trovare uno spumante adatto a loro: più o meno dolce, alla frutta e persino analcolico. Uno sguardo rivolto ai nuovi mercati li caratterizza da sempre e oggi i Bosca guardano a quello musulmano creando, nel rispetto delle regole religiose, prodotti totalmente privi di alcool.
Il tour fra le bottiglie è arricchito da video, spettacoli di luci e musiche evocative. La voce della guida narra la storia della famiglia di imprenditori: “Ormai siete parte del nostro gruppo”, assicura, prima di introdurre al momento più atteso, la degustazione. Con un bicchiere di vino in una mano e una tartina nell’altra, i turisti ascoltano l’enologa elencare liqueur e tecniche di degorgiatura. Chi ruota il bicchiere, chi lo annusa annuendo, chi sfoggia un piglio da esperto: così un po’ tutti possono sentirsi sommelier. Soddisfatti e un po’ annebbiati, si torna sul pulmino bran
dendo a mo’ di trofeo una bottiglia omaggio di spumante.
La meta è l’azienda agricola Chiarlo a Castelnuovo Calcea. Qui ci si inerpica su una collina dove ai filari sono intervallate le opere di Emanuele Luzzati. Arte e vino sono una coppia vincente, e il secondo viene in aiuto della prima in caso di bisogno. Chi non si lascia scoraggiare da un po’ di fango può godere della vista sulle colline dalla grande panchina viola barbera, installazione del designer Chris Bangle. Gli altri li aspettano sorseggiando un bicchiere del vino dell’azienda. Ancor più soddisfatti e un poco brilli, stavolta con un poster sottobraccio, gli eroi rientrano a Torino.
Dopo una giornata fra vigneti e fornelli, si sogna il momento di presentare agli amici piatti cromatici dai sapori esotici, sentendosi già grandi chef. Ma è tardi ormai e i supermercati hanno chiuso.
Si torna a casa e si apre il frigo: Tavernello e un minestrone surgelato. La cena è servita.