Il corteo dei lavoratori Tnt si sta spostando verso la Prefettura, la zona nord della città è bloccata. In tutta Italia sono previsti 345 esuberi, 81 solo in Piemonte, con 25 trasferimenti che rischiano di diventare licenziamenti anch’essi. Sono queste le cifre che hanno spinto i dipendenti di Tnt a incrociare le braccia e manifestare stamattina. “La nostra speranza è che il prefetto si renda conto della situazione, e che si faccia portatore della volontà del territorio quando il 25 la questione sarà presentata al Ministero dello Sviluppo economico“, spiega Raffaele Marino, segretario regionale della Fit-Cisl.
La scelta di ridurre i dipendenti diretti dell’azienda per affidare molti servizi in outsourcing ad aziende esterne è l’ultimo effetto dell’acquisizione di Tnt da parte di FedEx. “Ci aspettavamo che applicassero il modello americano, che punta a mantenere il maggior numero possibile di funzioni all’interno dell’impresa – continua Marino -, invece ha prevalso il modus operandi di Tnt, che prevede anche la collaborazione con cooperative e realtà esterne“. Di qui, la decisione di liberarsi di 345 lavoratori soggetti a licenziamento collettivo, e di trasferirne altri 115.
Se al tavolo del Mise la situazione non dovesse evolvere, però, i sindacati sono già pronti a tornare alla carica: per il 31 maggio e il primo giugno sono infatti già previste due eventuali ulteriori giornate di sciopero. L’opposizione, intanto, si è già schierata al fianco dei lavoratori: “La Regione Piemonte convochi subito l’azienda e si occupi delle chiusure annunciate delle sedi piemontesi di Fedex/Tnt”, ha chiesto con un’interrogazione urgente la consigliera regionale Nadia Conticelli del Pd. “Dobbiamo fare di tutto per bloccare questa ennesima perdita del tessuto produttivo piemontese. Chiuderanno le filiali di Settimo torinese, Marene, Galliate, Alessandria e Vigliano Biellese”, prosegue l’interrogazione.
È solo l’ultima delle crisi di grandi aziende presenti nel torinese: appena risolta Embraco, con Italiaonline ancora sul filo, sembra di sentire un ritornello già conosciuto. Mentre l’automotive infatti continua a gravitare intorno alla produzione del lusso di Fca, come certifica Cnr-Inres su la Repubblica, le aziende slegate dall’asse produttivo dell’automobile non vedono più vantaggi a mantenere le filiali piemontesi. “Il problema è che il lavoro in Italia costa molto e la tassazione è altissima – sottolinea Marino – stiamo parlando di multinazionali che hanno tutte la possibilità di delocalizzare dove gli operai costano la metà o quasi”.