Come ogni sfera, nel pallone da calcio ci sono coppie di punti estremi, opposti, antitetici, uniti da un diametro spesso invisibile. Attorno a questo solido, ruotano concetti, filosofie e visioni dello sport. Nell’infinito racconto del calcio italiano, un binomio del genere è dato dalla coppia romanticismo-dietrologia. La prima lettura – tenera, quasi poetica – è pronta a valutare il calcio e i suoi interpreti per le prodezze fatte in campo; ama la tecnica, l’estro e la fantasia dei 22 giocatori a prescindere da valutazioni partigiane. La seconda abbraccia la visione faziosa di questo sport: è pronta a tutto pur di negare ogni merito sportivo all’avversario, anche a sostenere teorie complottistiche frutto di 15 minuti di ricerca su Google. Il diametro che unisce questi due estremi è il tifo, che collega persone di tutti i tipi (dalle più sportive alle più faziose) con un minimo comun denominatore: esultare per una vittoria, dispiacersi per una sconfitta.
Nell’ultimo pomeriggio del 31° Salone del Libro di Torino, lunedì 14 maggio, il pallone è rotolato in contemporanea in due stand. E ha fatto vedere queste sue sfaccettature polari. Nella Sala eventi, si è parlato di Gigi Meroni, indimenticato protagonista del calcio italiano degli anni Sessanta. Pier Luigi Comerio ha infatti presentato il suo libro “Gigi Meroni. Una vita a tutto campo”, insieme a Maria, sorella dell’ex calciatore granata. Con le sue giocate, la “Farfalla granata” ha entusiasmato le platee di Genoa e Torino, fino alla tragica morte avvenuta a 24 anni, il 15 ottobre 1967, in seguito a un incidente stradale in corso Re Umberto 46. Anarchica ala destra, giocatore dagli alti e bassi tipici dell’artista che si voleva sottrarre alla mediocrità borghese (i cui usi e costumi prendeva in giro), Meroni è stato la declinazione calcistica delle lotte per la libertà che caratterizzavano quel periodo di contestazioni giovanili. Rifiutava, infatti, la Nazionale di Edmondo Fabbri che – in cambio della convocazione – gli aveva imposto il taglio di capelli: “Non capisco perché per un centimetro in meno, io debba rinunciare alla maglia azzurra. Io i capelli non li taglio”, le parole di Gigi vivono oggi nel ricordo della sorella. Meroni era una mosca bianca nella società italiana ancora troppo conservatrice, un personaggio costantemente in lotta con l’opinione pubblica. Simbolo di fantasia, tecnica e libertà in un calcio italiano incatenato nel “catenaccio”, Meroni era amato e odiato, sicuramente ricordato da tifosi di ogni colore.
Si parlava di opposti, tuttavia. Ed ecco che alla dimensione poetica di Meroni si è contrapposta quella prosaica di “Odio la Juve”, incontro che si è tenuto al Caffè letterario e che ha preso il nome dal libro edito da Meltemi a cura di Duka e Max Guareschi. Sotto la moderazione dello scrittore Giuseppe Culicchia, il canovaccio del panel è subito stato lo “sfottò” antijuventino, rinvigorito dall’eliminazione ai quarti di Champions League per mano del Real Madrid.
Fosse stato solo lo sfottò. L’andamento dell’incontro ha invece preso la strada della dietrologia. Fenomeno che nel calcio italiano quasi automaticamente porta a vedere ogni vittoria della Juventus come frutto di manipolazioni esterne, affari poco chiari, pressioni sugli arbitri, favori in sedi politiche. E allora anche la Var (la moviola in campo, novità introdotta nel campionato di quest’anno) è stata commentata polemicamente: “Non ha cambiato niente, è sempre gestita da arbitri”, si è sentito dal pubblico. Non sono mancate analisi sociologiche, come quella dello scrittore torinese Juri Di Molfetta: “La Juventus è la squadra del padrone e di chi si prostra dalla sua parte. Il tifoso juventino, mettendosi dalla parte del padrone, pensa di essere tale. In verità fa la parte del servo, e si arrabbia se qualcuno glielo fa notare”.
La polemica è il sale del calcio, direbbe qualcuno. La continua dietrologia è però un vicolo cieco. Dal secondo incontro, resta una domanda: se si pensa che la Juventus abbia occupato tutti i gangli del potere, e che il calcio italiano sia irrecuperabilmente marcio, perché continuare a seguirlo?