“L’articolo ha un autore ricollegabile a una biografia, ma i link portano a una pagina che non c’entra niente. Oppure chi ha scritto il testo non è indicato, pur essendoci data e luogo del fatto di cronaca riportato”. Gli studenti dell’ISS Giulio Natta di Rivoli (Torino) sono saliti in cattedra per valutare il lavoro di Repubblica.it. Un’attività collegata al progetto “Internet, fake news e bolle informative” di Fondazione CRT, che si è concretizzata in una presentazione al Salone del Libro di Torino.
La buona notizia è che Repubblica supera l’esame nonostante qualche imprecisione. Numerosi gli articoli passati in rassegna dalle classi I° F e I° B dell’istituto: in alcuni mancava il luogo, in altri non era rintracciabile il curriculum dell’autore. Ma, tutto sommato, la testata di Gedi si colloca in un segmento qualitativo medio alto (da più dieci a più venti) su una scala tra meno trenta a più trenta.
Quest’ultima è la scala di Dan Gillmor, esperto di media digitali (che scrive per The Guardian) illustrata agli studenti da Massimo Potì, che tiene corsi di educazione digitale. “Esisono quattro parametri di giudizio per valutare l’attendibilità di una notizia – spiega Potì – la prima domanda da porsi è molto semplice: la notizia è vera o falsa?”. Quindi va fatta una valutazione delle intenzioni dell’articolo: “Qualsiasi cosa – continua Potì – viene scritta con uno scopo. Una fake news può avere un chiaro intento umoristico, come nel caso di Lercio, o può rappresentare una battuta che non viene colta da tutti”. Importante è anche saper riconoscere la struttura del sito che pubblica la notizia: un’enorme quantità di banner pubblicitari a contorno dei titoli sensazionalistici è un cattivo segno che ci dovrebbe far diffidare della testata. Infine le celebri bolle del web: “Gli algoritmi ci coccolano a nostra insaputa proponendo contenuti attinenti ai nostri gusti e interessi – dice Potì – ma internet è bello perché basta un link per uscire dalla cassa di risonanza“.
Presenti alla conerenza del Miur, tra gli altri, anche Alberto Barberis, presidente del gruppo giovani imprenditori dell’Unione Industriale torinese e Mario Deaglio, ex direttore del Sole24Ore, che ha ricordato l’immortalità delle fake news: “Esistono da Virglio, che le chiamava fama, dando alla parola un’accezione negativa. In Italia – ha poi concluso – esiste una legge che individua come reato penale il diffondere notizie false e tendenziose. è venuto il momento di applicarla”.