Dai big data al microtargeting, il giornalismo fatica a inseguire e spiegare i cambiamenti tumultuosi della società, e i modi di intendere la partecipazione politica. Questo è uno dei temi affrontati da Cristopher Cepernich, sociologo e docente dell’Università di Torino, in un incontro che si è tenuto venerdì 4 maggio in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa nelle sale di Palazzo Lascaris a Torino. “Le aziende che fanno microtargeting tendono a celebrare la loro capacità di condizionare il pubblico – spiega Cepernich -, ma la verità è che l’impatto di questi metodi è sovrastimato, e comunque difficile da calcolare. Ed è qui che il giornalismo ha mancato l’obiettivo: la stampa ha sposato questa costruzione retorica e non è riuscita a darle la giusta dimensione.”
Cosa si sarebbe dovuto fare?
“Banalmente, i giornalisti dovrebbero essere meglio preparati sull’argomento. Proprio sul caso Cambridge Analytica, è stata fatta un po’ di confusione. E anche nelle discussioni pubbliche nelle quali erano coinvolti degli esperti, raramente è stata data la possibilità di fare davvero chiarezza.”
Allora ripartiamo dalla domanda più semplice: che influenza ha avuto realmente Cambridge Analytica sull’opinione pubblica?
“Non è possibile misurare una cosa del genere, ma è questo il punto: nessuno sa cosa avvenga nella testa dell’elettore la mattina, quando si sveglia, cerca la sua tessera elettorale, e cerca una motivazione per uscire a votare. Tuttavia, se Cambridge Analytica avesse davvero avuto un peso decisivo sul risultato elettorale, come è stato fatto credere, tanto varrebbe non fare più politica, ma solo marketing.”
E allora perché un simile accanimento su questa vicenda?
“C’è una tendenza a demonizzare Cambridge Analytica perché prevale un pregiudizio negativo anche nei confronti della parte politica coinvolta nella vicenda. Anche se, alla fine, la responsabilità del Datagate è di Facebook, e Cambridge Analytica ha fatto solo quello che loro e altre agenzie fanno sempre: creare categorie di stereotipizzazione.”
Questi metodi non nascono con l’elezione di Trump?
“Lo dico da sincero progressista: anche la campagna elettorale di Obama si è servita di strumenti di microtargettizzazione. E il risultato è stato un’affluenza che non si vedeva dai tempi di Reagan. Però in quel caso la percezione è stata positiva.”
Eppure stavolta Zuckerberg ha dovuto presentarsi al Congresso americano. Che impressione ha avuto?
“Ho pensato che fossero i Senatori quelli in difetto. E dietro le espressioni da innocente fanciullo, era Zuckerberg quello nel ruolo di forza. Cosa che i senatori sanno benissimo. Dopotutto sono loro che beneficiano dei dati.”
Il Senatore più aggressivo è stato anche il primo a essere coinvolto nel caso Analytica: Ted Cruz.
“È proprio per questo ha alzato la voce più degli altri. In un confronto trasmesso in diretta in tutto il mondo, non conta ciò che viene detto, ma il tipo di rappresentazione che ne viene data. Cruz non ha fatto il duro perché pensava di aver ragione, ma ha inscenato una drammaturgia, a uso e consumo degli spettatori.”
Qual è il futuro del nostro rapporto con la privacy?
“L’idea stessa di privacy nelle giovani generazioni è completamente diversa da come era in quelle precedenti. Lo spazio privato è sempre più ridotto, e sempre meno un valore da preservare. La consapevolezza che i dati vengono condivisi è ormai diffusa, e con essa, il disinteresse.”
Svendiamo i dati che ci riguardano per disinteresse?
“L’errore di fondo è pensare che i giovani diano i loro dati gratuitamente. Il valore aggiunto, per un diciottenne, è la possibilità di rappresentarsi in un certo modo. L’autorappresentazione è una gigantesca moneta di scambio.”