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Alfie Evans è morto, la sua vicenda in 11 punti

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Per sei giorni gli occhi di tutto il mondo sono stati puntati su Liverpool. Hanno osservato la lotta per la vita di un piccolo bambino di poco meno di 2 anni, che ha resistito alla morte per oltre 100 ore. La storia è quella di Alfie Evans, nato il 9 maggio 2016, che nei primi 6 mesi di vita ha sviluppato una malattia neurodegenerativa associata all’epilessia ed è stato ricoverato a causa di una grave infezione alle vie respiratorie e ripetute convulsioni il 14 dicembre dello stesso anno all’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool, dove è morto alle 3:30, ora italiana, di sabato 28 aprile.

Per provare a spiegarla, la ripercorriamo in 11 punti, tra cause in tribunale, posizioni delle parti, reazioni, appelli e domande.

1) I CONTRASTI

All’ospedale pediatrico i medici dopo circa un anno e mezzo, nonostante diversi test anche genetici, non sono riusciti a diagnosticare con esattezza la malattia, ma hanno chiesto la sospensione delle cure e della ventilazione artificiale al piccolo, giudicando irreversibili le sue condizioni. Gli esami effettuati hanno evidenziato danni diffusi al cervello, in particolare un’ampia perdita della sostanza bianca (fasci di assoni mielinizzati che trasportano i segnali tra diverse regioni del sistema nervoso centrale) ridotta ormai a meno del 30% di quella presente in un cervello sano: situazione per cui gli specialisti hanno descritto lo stato di Alfie come “semi-vegetativo”.  I genitori, il 21enne Thomas Evans e la 20enne Kate James, sono cristiani (lui cattolico, lei anglicana), non si sono arresi alla possibilità che venisse staccata la spina dei macchinari e si sono opposti da subito alla richiesta, sostenendo di poter trasportare il proprio figlio presso un ospedale estero, in particolare il Bambino Gesù di Roma e il Ludwig-Maximilians di Monaco di Baviera.

2) L’INIZIO DELLA TRAFILA GIUDIZIARIA

Non essendoci concordanza tra i medici e i familiari del malato, il caso è arrivato all’Alta Corte inglese e il 20 febbraio 2018 il giudice Anthony Hayden ha deciso in favore dei medici dell’Alder Hey, valutando che la sospensione della ventilazione fosse nel suo migliore interesse, che un trasporto con aeroambulanza non fosse un’azione praticabile (nonostante fosse agli atti del processo la perizia di Johannes Hübner, viceprimario del Ludwig-Maximilians che, visitato il bambino, lo reputatava “adatto al volo”) e soprattutto che Alfie non fosse in grado di continuare a vivere senza il respiratore artificiale. Immediato il ricorso da parte della famiglia Evans, che ha fatto riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo.

3) GLI APPELLI DEI GENITORI

Da quel momento lo sforzo per coinvolgere la Chiesa e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vicenda: la terza del genere in Inghilterra dopo quelle di Charlie Gard e Isaiah Haastrup. Infatti, per quanto riguarda la malattia, è stata avanzata l’ipotesi che questa sia simile alla deplezione del dna mitocondriale, di cui soffriva Gard. Comunque, in poco tempo c’è stata una mobilitazione straordinaria di persone comuni di tutto il mondo, soprattutto cattolici pro-life che hanno pregato per la vita del piccolo e hanno creato su Facebook un “esercito”, l’Alfie’s Army, ricordando quanto fatto la scorsa estate con il Charlie’s Army. A loro si sono aggiunti la Steadfast Onlus e diversi esponenti politici, in Italia maggiormente di centrodestra come Lucio Malan, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che hanno espresso il loro disappunto per la decisione dell’Alta Corte e hanno chiesto al governo italiano di attivarsi per facilitare diplomaticamente il trasferimento di Evans al nosocomio italiano, di proprietà della Città del Vaticano.

4) LO STRAPPO

Il padre Tom ha provato anche personalmente a portare via suo figlio il 12 aprile, il giorno dopo l’udienza in cui il giudice Hayden – che presso l’Alta Corte è il titolare della Family Division ed è attivista lgbt (ha scritto il libro Children and Same Sex Families) – aveva definito “inutile” la vita di Alfie e respinto una richiesta di habeas corpus, confermando il distacco dei supporti vitali in data e ora da non rendere pubblici “per tutelare il diritto alla privacy del bambino”.

5) LA DIPLOMAZIA

La famiglia Evans non si è arresa e, in attesa della sentenza di appello, ha ottenuto che fosse somministrato il sacramento dell’estrema unzione da don Gabriele Brusco, un sacerdote italiano a Londra che è corso al capezzale di Alfie, dopo che la Conferenza episcopale britannica aveva definito in un comunicato “infondate” le critiche ai medici dell’Alder Hey.  Mercoledì 18 Tom Evans è stato ricevuto in un’udienza privata da papa Francesco, subito dopo aver incontrato i responsabili del Bambin Gesù, in particolare Mariella Enoc, presidente della struttura.
La sentenza del 20 aprile è stata nuovamente sfavorevole ai genitori, che hanno scelto di ricorrere anche alla Corte europea per i diritti umani, sostenendo che le autorità britanniche stavano violando il diritto alla libertà di movimento del piccolo, non consentendo il suo trasferimento in un altro ospedale.

6) L’ESECUZIONE DELLA SENTENZA

Il 23 aprile la Cedu ha dichiarato il ricorso inammissibile, dando il via libera al distacco dei macchinari secondo le disposizioni di trattamento: prima la somministrazione di un analgesico e un ansiolitico, poi la sospensione della ventilazione a cui possono assistere i genitori, altri due membri della famiglia e un prete. Allora il governo italiano, in particolare i ministri Marco Minniti e Angelino Alfano, hanno annunciato la cittadinanza “per motivi umanitari” ad Alfie, nella speranza “che l’essere cittadino italiano permetta, al bambino, l’immediato trasferimento in Italia” e l’ambasciatore italiano a Londra, Raffaele Trombetta ha chiesto di non dare seguito alla procedura. Che grazie a un cavillo burocratico, cioè lo spostamento dell’orario per l’esecuzione materiale della sentenza (dalle 14 alle 14:30 italiane), ha fatto guadagnare tempo fino alle 22:17, quando il respiratore è stato staccato e ad Alfie è stata tolta l’idratazione, negandogli anche l’ossigeno. Nel frattempo papa Francesco aveva espresso in un tweet la commozione per la vicenda, invitando ancora una volta a esaudire il desiderio degli Evans di tentare nuove possibilità di trattamento.

7) LA LOTTA DI ALFIE

I medici dell’Alder Hey avevano dato ad Alfie 3 minuti di vita dal momento del distacco dei macchinari. Ma lui, rimasto tra le braccia dei suoi genitori senza tubi e sostegni di alcun tipo, ha resistito tutta la notte, ha respirato anche grazie al loro aiuto e alle 9 circa del mattino ha potuto ricevere acqua e ossigeno tramite bombole e mascherina, senza riattaccare le macchine. Questo su richiesta del padre ai medici, avvenuta durante un colloquio durato 40 minuti, “altrimenti sarebbe stata una morte per fame e per sete”, ha dichiarato. Mentre fuori dall’ospedale di Liverpool pregavano e protestavano 200 membri dell’esercito di Alfie, la madre Kate ha scritto su Facebook: “Non importa cosa accadrà, ha già dimostrato che i medici si sbagliano”.

8) I TENTATIVI ITALIANI

Rinfrancati e sorpresi dalla tenacia del piccolo, il governo e il Bambin Gesù si sono riattivati per il trasferimento: “La nostra équipe è pronta ad accoglierlo. Il ministro Pinotti ha messo a disposizione un aereo (pronto a partire da Ciampino, ndr). Si muova la diplomazia, aspettiamo un segnale”, ha fatto sapere Mariella Enoc. Grande sorpresa anche per i medici e per l’Alta Corte, che nel pomeriggio, mentre la cittadinanza italiana per Alfie diventava ufficiale per voto unanime del Consiglio dei ministri, si è pronunciata nuovamente sul caso. La concessione della cittadinanza ad Alfie ha dato all’Italia il diritto d’essere ascoltata, attraverso canali politici, diplomatici e legali. Infatti, “secondo la legge sul testamento biologico – ha spiegato Maria Pia Garavaglia, vice presidente del Comitato Nazionale di Bioetica – per quanto riguarda i minori, i titolari del diritto di scelta sono i genitori”. Però, questo atto sostanziale più che formale non ha cancellato il fatto che il bimbo rimanesse anche cittadino britannico, ricoverato in un ospedale britannico e soggetto a sentenze emesse da corti di Sua Maestà.

9) LE ULTIME SENTENZE

La seduta del 24 aprile a Manchester è stata presieduta ancora una volta da Anthony Hayden: il giudice ha esordito accusando gli amici della famiglia di Alfie Evans di “alimentare false speranze”, ha parlato di uno “spettacolo deprimente di un giovane fanatico e deludente” e ha negato la possibilità del trasferimento del bambino in Italia. “È il capitolo finale nel caso di questo straordinario bambino”, ha sentenziato Hayden, che ha comunque sondato il terreno con l’Alder Hey per farlo tornare a casa. Ma i medici hanno risposto sostenendo che non si può far uscire Alfie prima di 3-5 giorni – rivelatisi fatali – a causa del clima “ostile” (i 200 manifestanti presenti ogni giorno, che hanno tentato di entrare) attorno all’ospedale, presidiato all’esterno da 20 poliziotti. Amaro il commento di Tom Evans: “Alfie è tenuto in ostaggio e lo fanno morire di fame”. Versione su cui l’Alder Hey non concordava, riferendolo in un comunicato diffuso in tarda serata, a oltre 24 ore dal distacco del respiratore: “L’Alta Corte ha affermato di nuovo che il miglior interesse di Alfie Evans è continuare con il programma di cure di fine vita proposto dall’équipe medica che lo ha già curato finora. La nostra priorità è garantire che Alfie riceva le cure che egli merita, per assicurare che gli siano mantenuti in questo tempo comfort, dignità e privacy”. A questo punto la famiglia, ottenuto il ripristino della nutrizione assistita dopo 36 ore di respirazione autonoma in condizioni stabili, ha fatto ancora un doppio ricorso, tenendo conto che la sentenza ha impedito ad Alfie di raggiungere un Paese di cui era cittadino a tutti gli effetti. Tom Evans ha inoltre minacciato una denuncia contro 3 dottori dell’Alder Hey con l’accusa di cospirazione per omicidio, considerando anche il fatto che alcuni parenti di Alfie sono stati perquisiti fuori dall’ospedale e don Gabriele è stato allontanato (anche per volere del vescovo di Liverpool), portando inoltre a sostegno della sua tesi un video in cui uno dei dipendenti della struttura diceva: “Personalmente credo che questo ospedale stia coprendo qualcosa, qualcosa di veramente grosso”.

Nel processo del 25 aprile, la Corte di Appello composta da Eleonor King, Peter Coulson e dal presidente Andrew McFarlane ha rigettato il ricorso, ritenendo che la libertà di movimento e il trasferimento in Italia garantiti dalla Convenzione Europea sui Diritti umani non fossero nel “migliore interesse” per Alfie, che “c’è generale accordo sul fatto che stia morendo” e che “non c’è alcuna prova per considerare che il giudice Hayden abbia sbagliato”. Le motivazioni della sentenza – in cui si legge “siamo nel mezzo di un programma di cure palliative e non c’è motivo di interromperlo” – hanno lasciato sbigottito l’avvocato Paul Diamond. Il legale di Tom Evans aveva infatti dichiarato in aula: “Ma che razza di Paese stiamo diventando? È un sistema in cui il miglior interesse significa che qualcuno deve morire”.

10)  LE ULTIME ORE

Il giorno successivo alla sentenza della Corte d’Appello, il 26 aprile, la famiglia Evans ha chiesto ai medici dell’Alder Hey di portare a casa Alfie, invitando nel pomeriggio anche papa Francesco a osservare la situazione in cui si trovava il proprio figlio, dopo oltre 72 ore di mancato supporto vitale delle macchine: “Venga a vedere come mio figlio è ostaggio di questo ospedale”. Poco più tardi, in serata, un comunicato di Tom e Kate – in cui i genitori hanno ringraziato tutto l’Alfie’s Army, in particolare i sostenitori italiani e polacchi, invitandoli a “tornare alla vostra vita di tutti i giorni”, a non presidiare più l’ospedale – ha fatto pensare a un possibile accordo nel rispetto della privacy di tutte le parti coinvolte, compresi i membri dello staff dell’Alder Hey, ringraziati “per la loro dignità e professionalità dimostrata in questo periodo incredibilmente difficoltoso anche per loro”.

Il comunicato della famiglia Evans, letto da Tom il 26 aprile

Ma il bambino non è stato dimesso, è rimasto per tutta la giornata del 27 aprile all’ospedale nel suo lettino, con il conforto dei familiari, tra cui la zia Sarah Evans, che ha lanciato un disperato appello agli oltre 800 mila membri del gruppo Facebook Alfies Army Official: l’invio di “preghiere” e “100 profondi respiri al nostro guerriero”. Un segnale che per il piccolo sarebbe arrivata la crisi respiratoria causata dal distacco dalle macchine.
Così è stato e alle 2:30 locali (le 3:30 in Italia) è giunta la morte di Alfie, annunciata dai genitori sui loro profili Facebook. Hanno sottolineato la battaglia fatta dal loro figlio e ringraziato ancora una volta chi li ha supportati: “Il mio gladiatore – ha scritto il padre sul social – ha abbassato lo scudo e ha guadagnato le ali alle 2:30. Sono disperato. Ti amo, ragazzo mio”. Mentre per la madre, Alfie ha assunto sembianze angeliche: “Al nostro bimbo sono spuntate le ali intorno alle 2.30. I nostri cuori sono spezzati. Grazie a tutti per il sostegno”.
Dopo oltre 100 ore senza l’ausilio della ventilazione artificiale, Alfie si è arreso e ha fatto commuovere ancora una volta papa Francesco.

Fuori dall’Alder Hey Hospital tante lacrime, preghiere e lanci di migliaia di palloncini blu per salutare il “piccolo gladiatore” a 12 ore esatte dalla sua morte, mentre in una nota i medici di Liverpool hanno comunicato il proprio messaggio di cordoglio: “Vogliamo esprimere – si legge – la nostra simpatia e condoglianze dal profondo del cuore alla famiglia di Alfie in questo tempo di estrema angoscia. È stato un viaggio devastante per loro. Ora chiediamo sia rispettata la loro privacy e la privacy dello staff dell’Alder Hey”. E la zia del piccolo, Sarah Evans, ha smentito anche le ultime voci di una pretesa forma di estrema protesta attribuito da qualcuno al fratello: “Vi prego, ignorate le voci su Tom che si sarebbe barricato dentro l’ospedale – ha scritto sul gruppo ufficiale – Sono tutte false”.

11) LE REAZIONI E LE DOMANDE

La tenacia di Alfie ha entusiasmato i suoi sostenitori, che hanno anche citato fonti bibliche come un passo del Salmo 8: “Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli”. E l’Alfie’s Army italiano ha organizzato per tre notti consecutive una veglia di preghiera in piazza San Pietro a Roma alle 22:17, da mercoledì 25 (48 ore esatte dal distacco dei macchinari) a venerdì 27 aprile, alla quale hanno partecipato oltre 300 persone. La tesi delle cure palliative, sostenuta dai medici dell’Alder Hey non ha mai convinto, tra gli altri, don Roberto Colombo – docente della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma) e membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita (Città del Vaticano) – che aveva dichiarato: “La mancata riconnessione del supporto ventilatorio meccanico dopo tutte queste ore mostra un ‘accanimento tanatologico’, ossia una ostinazione ideologica e priva di ragionevole fondamento clinico ed etico nel porre fine alla esistenza di un paziente”. E ancora: “Gli inglesi chiamano l’accanimento terapeutico con il termine therapeutic obstinacy, ma in questo caso si potrebbe parlare di ostinazione anti-curativa. È il contrario delle autentiche ‘cure palliative’, che prevedono di prendersi cura del paziente inguaribile fino all’ultimo istante della sua vita, senza procurare anzitempo la sua morte con una eutanasia omissiva”. Parole dure quelle del sacerdote e professore universitario, sulla stessa linea di migliaia di post sui social network pubblicati dagli utenti (soprattutto britannici) per criticare l’operato dei medici e dei giudici, accusati di aver voluto la morte del bambino a ogni costo, di aver compiuto un vero e proprio omicidio. Post che al momento sono sotto monitoraggio da parte della polizia locale di Liverpool, la Merseyside Police.

Il mondo progressista, d’altro canto, ha sostenuto convinto le decisioni dei giudici britannici e ha criticato aspramente la scelta del governo italiano di concedere la cittadinanza ad Alfie, mettendola sullo stesso piano dello ius soli, puntando il dito contro la Chiesa e il “fondamentalismo cattolico” che si sarebbe battuto per “prolungare le inutili sofferenze con accanimento terapeutico”. E un trasferimento in Italia avrebbe “gravato sul nostro sistema sanitario”, a sottolineare l’aspetto ‘economico’ della vicenda. Inoltre, i pro-vita sono stati accusati di incoerenza e sarebbero colpevoli di non provare “la stessa indignazione per le decine di bimbi che affogano nel Mediterraneo”.

Ci siamo trovati e ci troviamo ancora di fronte a punti di vista diametralmente opposti, fede contro cultura della scienza, divisi anche sull’altra questione, quella legale: chi ha il diritto di decidere della vita di un minore malato, lo Stato o i suoi genitori? Perché, pur non essendo stata loro tolta la patria potestà, per Tom e Kate è stato impossibile portare via il loro figlio dall’Alder Hey e farlo quantomeno morire a casa. E soprattutto, fino a che punto si può individuare il “migliore interesse”, chi lo può fare davvero? Un medico, che conosce le eventuali complicanze dovute alle patologie, o un padre e una madre, che vogliono più bene di chiunque altro al proprio figlio? Interrogativi che ritorneranno ogni qualvolta si ripresenterà un caso simile a quello di Alfie Evans, di Charlie Gard e di Isaiah Haastrup.

ARMANDO TORRO

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