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Le varie sfumature di internet al Festival di Giornalismo di Perugia

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Oggi internet in relazione al giornalismo è stato al centro della seconda giornata dell’ IJF di Perugia. Tre gli argomenti in discussione: prima un focus sul mondo cyber, poi un’analisi degli algoritmi e delle loro applicazioni e in ultimo la domanda “Cosa dovrebbe fare Facebook per il giornalismo?”.

Attacchi, droga, terrorismo, spie: miti, realtà e conflitti del giornalismo cyber

E’ iniziato con un piccolo compendio dei termini più usati e del loro uso sbagliato. Carola Frediani, giornalista di Agi, ha spiegato la differenza tra deep e dark web e ha fatto notare come si dovrebbe andare oltre lo stereotipo del “lato oscuro” della rete inteso come contenitore del marcio di internet.

Un panel che ha cercato di superare molti stereotipi e luoghi comuni. Primo fra tutti, quello dei trojan o captatori informatici che sono malware di stato come ha spiegato Riccardo Coluccini di Motherboard Italia. Tra i miti da sfatare, a seguire, quello spiegato da Philip di Salvo, editor dell’European Journalism Observatory, sui whistleblower, non spie ma informatori. Infine lo stereotipo dell’hacker come criminale: “Non voglio generalizzare, ma gli hacker hanno sempre protetto e si sono sempre presi cura del web, anche se se ne parla da poco”, ha detto Raffaele Angius, collega di Futura, riferendosi al caso dei due esperti che lo scorso agosto hanno “bucato” Rousseau, la piattaforma online del Movimento Cinque Stelle.

Le nostre vite definite dagli algoritmi e cosa questo significherà per i media

Che i populismi sfruttino l’odio e la rabbia è cosa risaputa: da qualche tempo lo stanno facendo anche su Facebook, per avere più commenti e condivisioni e quindi ottimizzare al meglio l’algoritmo del social network. Bisogna servirsi di questo passaggio, creando e diffondendo strumenti in grado di analizzare il fenomeno. Come da titolo, l’influenza degli algoritmi non solo dei social ma di tutto il mondo online è stato il tema del panel che ha visto ospite Matthew Ingram, capo del digitale alla Columbia Journalism Review.

Sempre in tema di populismi, deve essere chiaro il fatto che le persone condividono una notizia su Facebook perchè la sentono vera, non perchè é vera. L’algoritmo sfrutta questo passaggio, e quindi ci fa vivere in bolle che danno forma al mondo per come lo percepiamo. Gli algoritmi dei social media sono quasi una bomba a orologeria nelle nostre mani, e le redazioni non sono pronte a gestirla. Le persone nutrono interesse non tanto per l’argomento in sè, ma per l’impatto che un algoritmo di Facebook ha sulle loro vite – e questo è un tema poco trattato. Nelle redazioni non ci sono studiosi di dati e di stringhe: chi è interessato spesso lavora da free lance e deve avere molto tempo a disposizione.

Cosa dovrebbe fare Facebook per il giornalismo?

Un gruppo di relatori esperti: Jeff Jarvis della City University di New York a moderare, poi Tanit Koch ex direttrice di BILD, Jennifer Lee cofondatrice e CEO di Plympton, Rasmus Nielsen direttore di ricerca dell’Istituto Reuters per lo Studio del Giornalismo, Jay Rosen professore associato all’Istituto di Giornalismo Arthur L. Carter e Craig Silverman, media editor di BuzzFeed News.

A seguito dello scandalo Cambridge Analytica e delle due audizioni alla Camera e al Senato USA del CEO di Facebook Mark Zuckerberg, nel panel si è discusso del ruolo e della responsabilità del social network nei confronti del giornalismo, con un approccio costruttivo su ciò che Facebook dovrebbe fare per aggregare e sostenere l’informazione pubblica. Nonostante le ultime vicende, le speranze dei relatori rimangono vive, anche se le critiche al sistema di suddivisione delle notizie non sono state poche.

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