Una malattia con un inizio subdolo. All’inizio dimentichi il gas acceso, lasci la macchina aperta, compri il giornale due volte. Dai la colpa all’età o allo stress. Ma poi i sintomi peggiorano, e influiscono sulla quotidianità, sulle relazioni, sulle capacità motorie. Il Piemonte ha una presenza di malati di Alzheimer tra le più alte in Italia: si parla di 80mila persone, quasi tutte concentrate a Torino e nella provincia. La sopravvivenza media per un malato è di dieci anni. Dopo i sessantacinque anni d’età, ogni cinque anni raddoppia il deterioramento delle capacità cognitive. Ogni cambiamento, anche i più piccoli, fa peggiorare la malattia: «Per questo cerchiamo di non portare i malati in ospedale, per loro è l’inizio della fine. Preferiamo curarli a casa» spiega Fausto Fantò, direttore del reparto di geriatria del San Luigi di Orbassano.
L’80% dei malati vive in famiglia, ma il carico assistenziale è enorme e non alla portata di tutti: servono specialisti che conoscano la malattia e sappiano prendersi cura anche di chi assiste. Ma mancano risorse. «Ho paura che abbiamo perso il treno – commenta a bassa voce Fantò – Avremmo dovuto investire prima sulla specializzazione, si sarebbero creati anche molti posti di lavoro in più. Adesso dove li recuperiamo i fondi?». L’assistenza oggi è nelle mani dei privati, con fondazioni come Home Instead. L’Alzheimer è una malattia della famiglia, che colpisce il malato ma anche i suoi cari. «Spesso a prendersi cura della persona è il coniuge, che però ha settanta, ottant’anni – spiega Fantò – Ci siamo accorti che è molto più difficile per un marito o una moglie accettare la malattia, piuttosto che per i figli».
Per la diagnosi e la presa in carico del malato e della famiglia esistono le Unità Valutative Alzheimer: sono ambulatori appositi che fanno valutazioni neurologiche e prescrivono i farmaci esistenti per il rallentamento del decadimento delle facoltà cognitive. Con una delibera della Giunta Regionale del gennaio 2018 sono stati istituiti i Centri per i Disturbi Cognitivi e Demenze, che andranno a sostituire le Uva. «Faranno quello che noi del San Luigi stiamo già facendo da anni – spiega Fantò – Cioè la presa in carico completa del malato e della sua famiglia con percorsi condivisi per tutta la durata della malattia». I nuovi centri vogliono superare l’attuale dispersione della cura, creare un percorso diagnostico, terapeutico ed assistenziale regionale e organizzare percorsi formativi appositi per la cura della demenza nelle Asl del Piemonte.