Al via la gara per assegnare le Olimpiadi e Paralimpiadi invernali del 2026. Al cancelletto di partenza Calgary (Canada), Graz (Austria), Sion (Svizzera), Sapporo (Giappone) e Stoccolma (Svezia) contenderanno la candidatura all’Italia, presente con Milano, Torino e il Veneto. Il capoluogo lombardo è l’opzione preferita dal Coni, che a gennaio ha commissionato a una società esterna, la WePlan Srl, lo studio di fattibilità per la candidatura milanese. Un piano suggestivo, che però non può prescindere da alcune strutture piemontesi: l’Oval e il Pala Alpitour a Torino, i trampolini di Pragelato e la pista di bob a Cesana, impianti che Milano dovrebbe costruire ex novo. Tuttavia, l’ipotesi Mi-To non entusiasma Chiara Appendino e i sindaci dei Comuni montani: la prima cittadina pensa a una candidatura unica di Torino vent’anni dopo i Giochi del 2006 e per questo ha già inviato la lettera d’interesse al Coni. Anche il Veneto, nonostante il “no” di Bolzano, dovrebbe essere della partita: il presidente della Regione, Luca Zaia, è pronto a manifestare l’interesse al Comitato olimpico italiano dopo che la sua giunta avrà approvato una delibera pro-Olimpiadi nelle Dolomiti.
Tutte le città in corsa devono superare degli ostacoli all’interno del proprio Paese: Sion e Graz potrebbero ricorrere a un referendum popolare, mentre il Consiglio comunale di Calgary ha detto sì ai Giochi a patto che il governo canadese dia garanzie sulle coperture finanziarie. Le stesse rassicurazioni le vorrebbe anche Giovanni Malagò, che prima di esporsi aspetta di conoscere la composizione del nuovo governo. «Senza la terza gamba, parlare di candidatura olimpica è prematuro», ha spiegato il numero uno del Coni.
Se il nuovo premier dovesse essere Luigi Di Maio, l’ipotesi torinese, oggi indebolita dalla spaccatura all’interno della maggioranza pentastellata a Palazzo Civico, ne uscirebbe rafforzata. Il leader del Movimento 5 Stelle ha appoggiato sin dall’inizio Appendino, per «un’opportunità che il M5S deve cogliere in un’ottica di sostenibilità economica, ambientale e sociale». Eppure, nel Movimento torinese non tutti sono favorevoli ai Giochi. Lunedì 12 marzo il Consiglio comunale è stato sospeso per mancanza del numero legale dopo il forfait di alcuni consiglieri grillini, Daniela Albano, Damiano Carretto, Viviana Ferrero e Marina Pollicino, contrari a Torino 2026. Dopo una settimana all’insegna della mediazione, i quattro dissidenti sono tornati in Sala Rossa con musi lunghi e nessuna voglia di parlare. A testimonianza di una frattura non ancora sanata, il gruppo M5S ha bocciato la mozione pro-Olimpiadi presentata dal Centrosinistra, in pratica lo stesso documento approvato all’unanimità pochi giorni prima dal Consiglio metropolitano. Il via libera al testo da parte della Sala Rossa non è vincolante per la candidatura, ma il pasticcio non è certo passato inosservato ai vertici del Cio.
Rispetto alle altre sedi interessate Torino soddisferebbe appieno i criteri della sostenibilità, una delle linee guida imposte dal Comitato olimpico internazionale per l’organizzazione dei Giochi. Le strutture lasciate in eredità dalle Olimpiadi del 2006, infatti, andrebbero soltanto rinnovate, con un risparmio in termini di costi e impatto sull’ambiente. Lo studio di pre-fattibilità della Camera di Commercio di Torino ha stimato in 170 milioni di euro il costo per rimetterle in moto, gran parte dei quali servirebbero per i trampolini di Pragelato e per la pista di bob di Cesana. I villaggi degli atleti e dei media potrebbero essere realizzati valorizzando aree dismesse in periferia, con l’obiettivo di trasformarle in residenze universitarie al termine dell’evento. Insomma, sulla carta Torino avrebbe una marcia in più, ma prima di tagliare il traguardo e tornare a ospitare i Giochi invernali è attesa da una gara lunga ed estenuante.