Due ragazzi fermi alla pensilina di un autobus, aspettando di tornare a casa, discutono di scarpe, di moda e di basket. Vestiti da rapper, felpa e pantaloni larghi, e polsini neri all’altezza del gomito, aspettano che il sole tramonti su piazzale Valdo Fusi e guardano gli skaters tentare le loro ultime acrobazie. Le scarpe di cui parlano le hanno viste ai piedi di Karl Anthony Towns, cestista del 1995 che gioca nei Timberwolves. Sono della Nike e rappresentano Goku, protagonista dell’anime Dragon Ball, intento a scagliare un’onda energetica formata proprio dall’icona del marchio sportivo: il baffo simbolo dell’azienda di Beaverton. Parlano delle chance di vittoria di Minnesota e alternano i discorsi sportivi con quelli delle calzature Nba.
Le scarpe nel mondo del basket americano hanno raggiunto una dimensione sacra. Tutto si può ricondurre alle famose Air Jordan create su misura per Michael nel 1985. Stivaletti che sono valsi alla Nike l’affermazione nel campo delle signature shoes e a all’ex giocatore dei Chicago Bulls un contratto di sponsorizzazione per 2 milioni di dollari in cinque anni. In quel momento una cifra senza precedenti per una matricola. Per dare un’idea dell’iconicità del modello, che divenne simbolo del giocatore e di una certa idea di basket, basti pensare che al momento del suo ritorno in campo nel 1995 la Nike inviò ai Chicago Bulls quaranta paia di Air Jordan. Le scarpe nel 2017 erano il terzo marchio più venduto negli Stati Uniti dopo la stessa Nike e Adidas, e sono stati realizzati trentadue diversi modelli.
L’eredità di His Airness passa nelle mani e nei piedi di Kobe Bryant. Il Black Mamba dei Lakers, ritirato nel 2016, è passato alla storia come uno dei più grandi atleti del mondo. Cinque titoli Nba, due ori olimpici e undici All-Nba first team, il premio assegnato ai migliori giocatori della stagione regolare. Una mano piena di anelli e sotto i pantaloncini un paio di scarpe create e griffate dallo stesso giocatore di Filadelfia. Per trasferire la “mentalità del Mamba” in ogni aspetto della vita Kobe cura anche i dettagli. Il marchio è sempre Nike e la firma è spesso un richiamo alla pelle dei rettili, alla freddezza del serpente, in fondo il “Mamba nero” è uno dei più velenosi al mondo.
Da Los Angeles a Cleveland il passaggio di consegne è obbligato. Anche Lebron James, il re dei Cavaliers, è “endorser” della Nike con un contratto che lo lega a vita al brand americano per la cifra di un MILIARDO di dollari. Uomo politico e politicizzato, King James, ha spesso approfittato delle sue scarpe per lanciare messaggi al mondo. Una scarpa bianca e una nera con la scritta “Equality”, uguaglianza, contro il razzismo. Oppure gli omaggi a Martin Luther King nel giorno della ricorrenza del leader e attivista afroamericano che si celebra il terzo lunedì di gennaio. Maglie e scarpe con l’effigie del premio Nobel per la pace.
La politica è solo una piccola parte della personalizzazione delle scarpe sportive. Anthony Davis, ala grande e centro dei New Orleans Pelicans, è chiamato The brow (sopracciglio) per il monociglio che lo caratterizza, ha il suo soprannome scritto sul tallone. Paul George, ala piccola degli Oklahoma City Thunder ha il suo numero, il 13, inciso sul tacco. Alcuni giocatori fanno personalizzare le scarpe in base alla ricorrenza. Per Halloween Karl Anthony Towns, uno dei più eccentrici giocatori Nba, aveva Jason Voorhees, protagonista della serie “Venerdì 13”, disegnato sul lato della scarpa. Il machete, arma simbolo del personaggio di fantasia, diventa per l’occasione il baffo Nike. Dall’horror ai cartoni animati. Rudy Gobert, centro francese degli Utah Jazz, ha riempito le sue scarpe di riferimenti a One Piece, anime giapponese il cui protagonista Rubber è un uomo di gomma, il francese nei movimenti e nelle braccia sembra elastico.
Di certo non basta mettere Goku su una scarpa per diventare un super Sayan, stampare Jason per incutere timore, o un uomo di gomma per allungarsi a canestro. Ma il giro economico dietro le scarpe personalizzate, le sponsorizzazioni e il fascino che hanno sugli amatori del basket, costituiscono un impero a parte. Le scarpe non fanno il giocatore, però ce la mettono tutta.
MASSIMILIANO MATTIELLO