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Eternit bis, Cassazione: confermata l’accusa di omicidio colposo

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Le peggiori paure della vigilia si sono avverate: il più grande processo per morti da amianto si divide tra quattro diversi tribunali d’Italia. La Corte di Cassazione ha respinto, questa mattina, il ricorso presentato dalla Procura generale e dal pm di Torino, Gianfranco Colace, contro la decisione del tribunale di novembre 2016 di derubricare il capo d’accusa nei confronti del magnate svizzero Stephan Schmidheiny da omicidio volontario a colposo, nell’ambito del procedimento Eternit bis. Il processo per la morte di 258 persone a causa dell’amianto, resterà così spacchettato in quattro tronconi, tra Vercelli, Napoli, Reggio Emilia e Torino. Già ieri nel corso dell’udienza il procuratore generale, Delia Cardia, aveva condiviso a sorpresa questa linea chiedendo alla Corte che fosse confermata la suddivisione dei processi.

È l’ultimo passaggio di anni di indagini, perizie, interrogatori, processi. Ecco le tappe fondamentali della lunga e tormentata alla vicenda giudiziaria legata al caso Eternit.

Eternit, le tappe

Il primo processo risale al 6 aprile del 2009. Vennero presentate 2889 richieste di risarcimento danni, tante erano le famiglie che avevano avuto almeno una vittima. La sentenza di primo grado arrivò il 13 febbraio del 2012: il barone belga Louis De Cartier e Stephan Schmidheiny, i due proprietari della multinazionale dell’amianto, vennero condannati a 16 anni per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche (il pubblico ministero di Torino, Raffaele Guariniello aveva chiesto 20 anni).

Nel giugno del 2013 alla fine del secondo grado, Stephan Schmidheiny, rimasto l’unico imputato dopo la morte di Louis De Cartier, veniva condannato a 18 anni di carcere, due in più della sentenza precedente. I giudici riconobbero le responsabilità penali degli imprenditori dell’amianto non solo per i siti di Casale Monferrato e Cavagnolo, ma anche per Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia). Vennero anche stabiliti risarcimenti danni per circa 90 milioni di euro destinati al comune di Casale Monferrato alla regione Piemonte, a sindacati e varie associazioni e 30 mila euro agli ammalati di patologie legate all’amianto e alle famiglie delle vittime.

Nel 2014 il colpo di scena: la Corte di Cas­sa­zione annullò le due precedenti con­danne per prescrizione, affermando che il reato non è più per­se­gui­bile per il tempo trascorso tra i com­por­ta­menti illeciti dell’imputato e le conseguenti morti. La procura di Torino, a seguito di quel verdetto, cerca un’altra strada: raccoglie 258 casi si morte e contesta per ciascuno l’omicidio volontario (il cosiddetto filone Eternit Bis). Nel 2016 la giudice d’udienza preliminare Federica Bompieri, dopo aver superato anche il nodo del ne bis in idem (art. 649 c.p.p. “nessuno può essere processato più volte per lo stesso fatto”, ndr), riqualificò il reato da omicidio volontario in omicidio colposo. Per effetto di quella decisione, il maxi-processo venne destinato alle singole competenze territoriali e frazionato in quattro tronconi differenti. Per due morti torinesi ha mandato a giudizio l’imprenditore a Torino. Per le altre 256 vittime ha disposto che tre procure aprano e seguano proprie specifiche inchieste: a Vercelli per i morti casalesi (che sono la maggioranza), a Napoli per otto di Bagnoli, a Reggio Emilia per due di Rubiera.

EMANUELE GRANELLI
MASSIMILIANO MATTIELLO

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