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Si scrive Chapecoense, si legge Grande Torino: quando la tragedia unisce

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È passato un anno da quel tragico 28 novembre 2016. Un anno di tristezza e dolore, ma anche di unione e voglia di ricostruire per la Chapecoense. Quel giorno la squadra di calcio brasiliana fu decimata da un disastro aereo. Il volo 2933 della compagnia boliviana LaMia precipitò al suolo mentre si avvicinava all’aeroporto di Medellín, portando con sé 77 persone, di cui 48 membri del club tra calciatori e dirigenti e 21 giornalisti. Tutti pronti a vivere l’andata della finale di Copa Sudamericana contro l’Atlético Nacional. Solo 6 i superstiti: 3 calciatori, 2 membri dell’equipaggio e un giornalista.

Tante le analogie nella mente degli appassionati di sport con Superga e quel 4 maggio 1949 che azzerò il Grande Torino di ritorno dall’amichevole a Lisbona con il Benfica, a cominciare dalle vittime: 18 calciatori morti al momento dell’impatto in entrambe le circostanze, ma non è l’unico punto in comune tra il club fondato da 4 immigrati italiani nel 1973 e i granata. Sul volo c’era l’attaccante 23enne Thiaguinho, che aspettava un figlio dalla moglie Graziele, proprio come l’ala Franco Ossola, la cui consorte Piera gli avrebbe dato il secondogenito dopo 4 mesi: i figli portano lo stesso nome dei padri mai visti. E qualcuno aveva avuto un oscuro presagio, come il difensore Hélio Neto, sopravvissuto e ultimo a essere estratto dalle rovine del velivolo, che aveva fatto un incubo la notte precedente: un aereo con dentro una squadra di calcio che precipitava. Lo stesso identico incubo fatto dalla cognata di Ossola che aveva suggerito alla sorella Piera di convincere il marito a non partire. Poi, la vicenda dell’ex terzino Janga, protagonista del primo trofeo della Chape, che, appesi gli scarpini al chiodo, iniziò a vendere cachorros quentes (gli hot dog brasiliani): come non ricordare Ossola e Gabetto e il loro Bar Vittoria aperto nel 1948 in via Roma?

Una storia di alti e bassi quella della Chapecoense, proprio come il Toro: nonostante abbia portato floridezza economica alla città di origine india Chapecó e vinto 5 titoli nello Stato di Santa Catarina, il Verdão do Oeste è sempre stato sull’orlo del fallimento ed è rinato più volte, cambiando anche denominazione. Com’è rinato quest’anno, in cui ha conquistato ancora il campionato statale lo scorso 7 maggio contro i rivali di sempre dell’Avaí e ha raggiunto sul campo la salvezza nel Brasileirão, rifiutando l’offerta degli altri club brasiliani di non retrocedere per tre anni consecutivi, a prescindere dai risultati ottenuti.

Il libro, pubblicato a giugno da Infinito Edizioni, dopo Milano e Torino, sarà presentato a Roma il 30 novembre e il giorno dopo a Castrovillari (CS), città di cui è originario l’autore

 A ispirare le similitudini con il Torino è il giornalista sportivo Lucio Rizzica con “Proprio come una cometa: storia della Chapecoense e della Superga d’America”, il libro presentato lo scorso 22 novembre alla Feltrinelli di Piazza Cln insieme a Darwin Pastorin e Franco Ossola, che si è ritrovato nella storia di Thiaguinho e Neto. “Non volevo fare un almanacco, ma far conoscere questo pezzo di Brasile e la storia di una squadra di cui molti hanno parlato in modo superficiale”, ha spiegato l’autore. Che è riuscito a raccontare le vicende del club con l’espediente dei tre ragazzini indios di etnia Caingangues, i nativi dell’antica Xapecó colonizzata dai desbravadores portoghesi, arrivati allo stadio poco dopo la disgrazia. Ricostruire la cronaca degli ultimi momenti (“È stata la parte più difficile”, ha rivelato Rizzica) passa così in secondo piano. E la storia della cenerentola Chapecoense diventa un’epopea che le rende giustizia oltre la tragedia.

ARMANDO TORRO

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