Da qualche ora è iniziato lo sgombero degli occupanti dell’ex Moi, ma la storia tribolata delle palazzine colorate dura da più di dieci anni. In vista delle Olimpiadi invernali del 2006 furono spesi circa 30 milioni di euro per realizzare il villaggio olimpico e ospitare 2500 atleti, poi, nella speranza di una riconversione a uso residenziale, l’intero lotto venne venduto per 15,9 milioni al Fondo Città di Torino compartecipato da Pelios Sgr, Equiter del Gruppo Intesa San Paolo e dal Comune di Torino. Ma per ben sette anni le quattro palazzine più grandi sono state abbandonate, fatta eccezione per l’Ostello della Gioventù, aperto, chiuso e definitivamente riaperto tra il 2010 e il 2012.
Il 30 marzo 2013, in seguito all’emergenza del Nord Africa, due abitazioni di via Giordano Bruno vennero occupate abusivamente da 150 immigrati maghrebini, aiutati dagli attivisti dei centri sociali Askatasuna e Gabrio. Solo una settimana più tardi, il 7 aprile, fu occupata la terza palazzina, facendo salire il numero degli abitanti dell’ex Moi sopra le 300 unità, e l’11 agosto anche la quarta e ultima abitazione ancora vuota venne occupata, semplicemente forzando la porta d’ingresso. In poco più di un anno si susseguirono richieste di censimento degli abitanti, per distinguere tra chi aveva diritto a stare in Italia come profugo o rifugiato e chi no. E in quell’anno scoppiarono le prime tensioni dentro e fuori le palazzine tra i residenti del quartiere, i centri sociali che gestivano le abitazioni e gli occupanti stessi, accusati di spaccio di droga e molestie.
Tra fine luglio e inizio agosto del 2014 si registrarono due casi di accoltellamento nati da scontri etnico-religiosi tra le componenti maghrebine e centrafricane, tra quella musulmana (in maggioranza) e cristiana per la gestione dei flussi in ingresso e in uscita nelle strutture dell’ex Moi. In seguito alle proteste dei residenti nel quartiere e ai casi di cronaca, il gip Luisa Ferracane a dicembre dispose il sequestro preventivo e lo sgombero, e, il 13 gennaio 2015, confermò la decisione affidando alla Digos il compito di trasferire i rifugiati. Ma la decisione incontrò la dura opposizione dei sindacati di base e del “Comitato di solidarietà rifugiati e migranti” che dopo due mesi, il 14 marzo, organizzarono un corteo di protesta.
Il 27 maggio 2015 un altro caso di cronaca divide l’opinione pubblica: tre richiedenti asilo (un somalo, un nigeriano e un ghanese) sequestrano e stuprano una ragazza disabile in carrozzina: vengono arrestati dopo una settimana e condannati a 8 anni e quattro mesi di carcere nel febbraio 2016, con risarcimento di 120mila euro alla ragazza e 5mila al Comune di Torino, costituitosi parte civile per danno d’immagine. I fatti di cronaca e lo stato di occupazione delle palazzine attirano diverse troupe televisive nei mesi successivi, tra cui quella di La7, aggredita il 25 agosto mentre documentava la situazione di degrado.
Le tensioni sociali aumentano e lo scontro politico si fa sempre più forte: i temi centrali a livello nazionale e internazionale riguardano gli attentati islamisti, i rischi di radicalizzazione e i foreign fighters che vanno nei territori di Siria e Iraq a combattere per conto dell’Isis. E anche l’ex Moi ha il suo caso: il tunisino Wael Labidi, arrivato a Torino nel 2010 e ucciso ad agosto 2016 in un combattimento, negli anni aveva frequentato le palazzine occupate insieme agli amici Khaled Zeddini e Bilel Chihaoui, che negli stessi giorni stava preparando un attentato a Pisa.
L’apice dello scontro è raggiunto la notte tra il 23 e il 24 novembre 2016 quando, dopo una discussione in un bar frequentato da tifosi del Torino, vengono lanciati petardi e bombe carta vicino alle abitazioni degli immigrati, che scendono in strada a protestare al grido di “italiani razzisti”, divelgono diversi cassonetti e la segnaletica stradale in via Giordano Bruno. All’arrivo dei vigili del fuoco, chiamati dai residenti spaventati, gli stranieri impediscono loro di avvicinarsi all’area mostrando spranghe e manganelli e rendendo necessario l’intervento delle forze dell’ordine in assetto antisommossa, fortunatamente senza che si verifichino scontri violenti. Da quella notte viene disposto un presidio permanente della Polizia ed è richiesto con forza il censimento e lo sgombero definitivo.
Il censimento sull’ex Moi è iniziato ad aprile di quest’anno e ha individuato dopo diversi mesi un centinaio di occupanti, la stragrande maggioranza dei quali (90%) con diritto a rimanere in Italia. Per questo motivo, Comune, Prefettura, Compagnia di San Paolo, Diocesi, Città metropolitana e Regione hanno costituito un tavolo inter-istituzionale per risolvere l’emergenza in caso di trasferimento, per dare casa e lavoro a chi ne ha diritto. Per loro sono stati a metà maggio individuati 150 alloggi, forniti dalla Diocesi di Torino e dalla Compagnia di San Paolo. Questa ha deciso di stanziare 1 milione e 750 mila euro che serviranno per sostenere i percorsi di inserimento lavorativo e le possibili ricollocazioni di un primo gruppo di circa 300 persone e a questa cifra si sommano i 500 mila euro messi a disposizione dal Ministero dell’Interno. Ma il 29 maggio è arrivata un’altra aggressione a una troupe televisiva, in particolare alla giornalista Elena Redaelli di Quinta Colonna, che voleva raccogliere in diretta le testimonianza dai profughi censiti.
Il 5 giugno, con la firma del protocollo d’intesa tra le varie parti, è stato stabilito l’ultimo giorno utile per completare la prima operazione di sgombero, il 31 dicembre 2018, e il piano prevede che tutti gli occupanti vengano trasferiti, entro il 2020, tra Torino e i territori della Regione, che lavorerà per “facilitare l’attivazione dei servizi relativi alla formazione professionale e all’inserimento socio-lavorativo”. Alla fine del censimento sono stati certificati 750 occupanti, a fronte di una stima fatta da Compagnia di San Paolo di 1200 persone più 400 nei sotterranei, e alcune di loro il 19 ottobre hanno scambiato per una spia che voleva filmarli un 55enne marocchino tetraplegico che reggeva il cellulare con un’asta, aggredendolo. Infine, poco più di un mese fa, la sera del 23 ottobre è scoppiato un incendio al primo piano di una delle palazzine, probabilmente dovuto, secondo gli inquirenti, a un fuoco lasciato acceso, mentre per i profughi maliani e nigeriani coinvolti “qualcuno lo ha fatto di proposito”.