Venerdì scorso il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) ha approvato il programma degli eventi per le Olimpiadi di Tokyo 2020: se seguito integralmente, comporterà la più grande presenza di atlete nella storia dei Giochi. A Tokyo, inoltre, il numero di eventi misti raddoppierà rispetto a Rio 2016 (arrivando a 18). I cambiamenti seguono le ultime dinamiche che vedono la quota di atlete femminili in forte recupero sul corrispettivo maschile: a Rio il 46,1% degli atleti era donna. Per le Olimpiadi giapponesi del 2020 la prospettiva è di sfiorare la parità dei sessi.
Il principio è garantito anche dalla Carta olimpica (la serie di valori che sottostanno allo sport così come inteso nei Giochi olimpici). Il sesto principio della Carta comincia così: “Il godimento dei diritti e delle libertà esposti nella Carta olimpica devono essere assicurati senza discriminazione di alcun tipo, come razza, colore, sesso, orientamento sessuale […]”.
Eppure, non sempre è stato così. Anzi: la prima edizione dei Giochi olimpici moderni non prevedeva la partecipazione di donne, per la felicità del barone Pierre de Coubertin, senza mezzi termini un misogino per cui la partecipazione femminile alle Olimpiadi era “irrealizzabile, noiosa, antiestetica e sbagliata”.
Il grafico indica l’andamento delle “quote rosa” e “quote blu” in chiave diacronica. Dallo 0% di Atene 1896, il peso della rappresentanza femminile è cresciuto fin quasi a raggiungere quello degli uomini.
Qui, invece, la storymap della partecipazione femminile nella storia dei Giochi olimpici, da Atene 1896 a Rio de Janeiro 2016. Si approfondiscono i dati del grafico e si offre qualche cenno storico sulle donne diventate leggende dello sport.
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VALERIO BARRETTA
