Indovinarne l’età ascoltando le sue composizioni è quasi impossibile. Sarà per le sonorità classiche o per il mix di armonie poliglotte ma mai verrebbe da dire che l’autore sia un 25enne. Tutti Francesco Taskayali di brani già ne ha composti e pubblicati tanti da riempirci 4 album. Sono i numeri che parlano per il giovane compositore e pianista italoturco della scuderia Inri: a 7 anni ha scoperto il pianoforte, a 13 la sua prima composizione “E’ Sera”, si è esibito in oltre 15 paesi, 376.886 like sulla pagina Fb e 28.431 ascoltatori mensili su Spotify.
Una personalità poliedrica e con mille passioni, anche il giornalismo d’inchiesta. Il sogno è di fare una lunga tournee estiva in Italia a bordo della sua auto. Un sogno atipico per chi ha già suonato in gran parte del mondo, ma è l’originalità che lo contraddistingue. Più della precocità. “Nella mia vita ho fatto molte cose ed era ricorrente sentirmi dire: tu che ci fai qua, vai a suonare. Anche con il giornalismo, lavoravo da videomaker per Latina press. Ho fatto dei servizi sulle discariche illegali vincendo con il team un premio”. E ora l’ultima fatica, “Wayfaring” che presenterà giovedì 15 giugno alle 18,30 alla Feltrinelli di Torino Porta Nuova, poi il 21 giugno ai Fori Imperiali di Roma.
Di motivi per ascoltare l’album ce ne sono diversi, a partire dall’arrangiamento di Ale Bavo A lui, però, ne abbiamo chiesti solo tre. “Concentrarsi quando si studia, emozionarsi solo con le note e provare qualcosa di nuovo – spiega -. Io non scrivo musica, la porto nella memoria. Gli unici spartiti sono quelli per la Siae. Deriva dal mio primo maestro a Sermoneta, dove mi accompagnava mio padre. Lui mi metteva davanti alla tastiera e mi diceva: inserisciti quando suono. Mi ha insegnato la musica con la musica, in maniera pragmatica. E la tastiera per me è questo, non disegnare la geometria delle note su uno spartito. È più un diario”.
Nei diari il modo di scrivere cambia da 11 a 25 anni. Qual è la sua evoluzione?
“Il primo disco era più minimalista, diretto e forse piace di più. Poi crescendo inizi a fare ricerca, a guardarti intorno e impari la poetica delle cose. Nell’ultimo, ad esempio, c’è una melodia che riprende una canzone popolare del Mar Nero. Leggendo Oceano Mare di Baricco, ho aggiunto altri dettagli ed è uscito un brano “macedonia”.
Sono momenti diversi della vita, come un pittore. Chi mi segue da più tempo lo sa. Per me il grande motore è stato Istanbul: vi ho vissuto 6 anni e mi accompagna dentro”.
Passiamo alle parole: non le usa nei brani ma solo per i titoli, come “E’ Sera”, “Piove”, “Traffico”, senza particolare studio. Perché?
“La musica è una lingua ma è universale. Con le note racconti qualcosa. Un conto è comporre un brano con la necessità di esprimere qualcosa a qualcuno, altro è farlo per te stesso, senza doverlo spiegare. Inoltre, da adolescente non pensavo un giorno avrei inciso le mie composizioni, finché in sala registrazione non mi chiesero i nomi. Chiamarle uno, due e tre non era il massimo”.
Con la sua famiglia ha un rapporto stretto, parla spesso di suo padre…
“Diciamo un rapporto molto controverso, è madrelingua turco e parla italiano da 20 anni, io sono madrelingua italiano e parlo turco. In tutta la mia vita ho avuto problemi comunicativi con lui. E’ ingegnere ma anche lui suona, il Saz un tipo di mandolino turco. Ha suonato con Piovani, Pavarotti e in Rai. In Italia è uno dei pochissimi a suonare questo strumento, forse l’unico”.
… ma viaggia sempre solo. Che rapporto ha con la solitudine?
“Alla grande! Da persona introversa ho passato molto tempo da solo con il pianoforte. Tutti i viaggi li ho fatti da solo, dal Sudamerica alla Cina, Stati Uniti o Africa. È un altro modo di viaggiare, sei con i tuoi piedi su un’altra terra e hai solo quelli. Ti immergi. Poi per me è normale. Ho preso il primo volo a 3-4 mesi, a 5 anni avevo già fatto 90 voli”.
Ogni viaggio è una nuova sfida. Farsi conoscere solo attraverso le note: quanto è difficile?
“Alla fine dopo tanti viaggi vedi la stessa umanità. Se riesci a viaggiare molto in un tempo ristretto non vedi confini, solo essere umani simili. Con gli stessi pregi e gli stessi difetti. E ti senti a casa ovunque. I miei ricordi di infanzia, però, sono legati a Istanbul, più dell’Italia dove mi sono trasferito a circa 6 anni. Ma non ho modo di tornare a vivere in Turchia. Ci sono amici turchi che mi raccontano quel che sta succedendo e non se lo meritano”
Come vive da qui la situazione turca?
“Malissimo. Penso a come la vive mio padre. Lo vedo, è passato da incazzatura a rassegnazione. Agli inizi dell’era Erdogan lo vedevi furioso, ma a un certo punto ti prendono per la stanchezza. Vedi tanti turchi, amici e conoscenti che dopo piazza Taskim sono molto sfiduciati. Anche perché la generazione di mio padre e quella dopo sono completamente europeiste. Io ancora non vivo la fase di rassegnazione ma tutti i brani che porto dentro di Istanbul sono molto nostalgici”.
Cosa vede nel suo futuro imminente?
“Vedo musica ovunque. Ho iniziato un percorso con Metatron, Inri, Warner e ho avuto un piacevolissimo incontro con una realtà concertistica. E sogno una lunga tournèe italiana, da fare in macchina da solo”.
Non ha paura che a 25 anni, con 4 cd in attivo, oltre 15 paesi ha fatto troppo in troppo poco tempo e non resti molto da sperimentare?
“Non c’è fare troppo, c’è fare di più. Sempre. La vita è solo una, la nostra unica occasione. Una mia amica psicologa mi disse che ero nevrotico. Sono affamato di esperienza. E non credo ci siano limiti nella sperimentazione. E’ la creatività la risposta a tutti i limiti”.
La creatività è premiata dal mercato italiano?
“Ero molto preoccupato. Ma in poco tempo sono entrato al 64° posto della classifica Fimi – Federazione Industria Musicale Italiana dei 100 album più venduti in Italia. Evidentemente i miracoli accadono anche per i pianisti. Ti dirò, ora sono molto ottimista. Anche sulla pagina Facebook, ricevo tanto affetto inaspettato e feedback positivi per il disco. E poi non ho mai sognato di diventare famoso, mi piace la mia nicchia di persone sparse”.
Che rapporto ha con i musicisti “veterani”?
“Mi piacerebbe andarci a cena. Sono un pacioccone di Latina, mi stanno tutti simpatici. E poi sono loro, Einaudi, Allevi, Michael Nyman che ho studiato prima di lanciarmi nella composizione”.
Non ha l’aria di un passato ribelle e da cd punk nel lettore. Cosa ascolta Taskayali?
“Allora, apro la playlist: Corri corri di Bianco, la colonna sonora di La La Land, Moby e It’s makes you happy, ma anche Indaco di Einaudi, Mannarino. Poi c’è Samuel, Jacopo Ratini, Stefano Bollani, Ryūichi Sakamoto. Il massimo di ribellione? I Deftones”.