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Castello di Parella, 30 milioni e rispetto della terra per la rinascita

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Il castello di Parella è incastonato tra i vigneti di Erbaluce, colline che oggi offrono frutti che assomigliano a piccoli chicchi verdi, timidi e spaesati, ma che tra un paio di mesi regaleranno lo spettacolo di colori che il sole di agosto riversa sulla buccia dei grappoli d’uva. È solo questione di tempo.

E il tempo da queste parti si percepisce chiaramente. È la regione rimasta orfana dell’Olivetti, che sta costruendo il futuro riscoprendo il proprio passato fatto di agricoltura, di terra e di arte. La storia la si respira dentro il castello, inaugurato il 31 maggio e nato come casa-forte tra il XII e XIII secolo, costruita dai conti di San Martino come rifugio dopo essere scappati dal castello vecchio, dove vivevano, distrutto dai Tuchini.
Parella è un paese di meno di cinquecento abitanti, posto sulla strada che collega Ivrea a Castellamonte. Un luogo di transito, e chi voleva passare doveva pagare un dazio ai Conti di San Martino, una famiglia importante, il braccio destro dei Savoia in particolare in ambito militare. Oggi, però, chi si aspetta un luogo austero, di mattoni rossi, severo come nell’immaginario dei castelli, rimane deluso: niente di tutto questo, nessuna fortificazione. Perché tra milletrecento e milleseicento l’abitazione cambia destinazione, soprattutto negli anni di Alessio I, diventando la “casa di delizie”, impreziosendosi anche di affreschi.


Gli stessi affreschi che, non più di dieci anni fa rischiavano di essere persi per sempre, dopo aver sopravvissuto a più di tre secoli. A fine millennio la famiglia Dotto, nel frattempo divenuta proprietaria del castello, vende a una società lombarda: struttura più arredamento, cioè tutto il corredo di statue, quadri, fontane, tappeti. Un patrimonio che, nel 2002, nel castello non ci sarà più. Sparito. Come la società che, poco dopo aver comprato, è fallita.
Le prime aste pubbliche vanno deserte poi, a luglio 2011, Manital compra la struttura per un milione e duecentomila euro, poi ne investe altri trenta in ristrutturazione. “I primi otto mesi li abbiamo impiegati solo per riappropriarci dei muri – spiega ora l’architetto Lorenza Manina che ha seguito i lavori -. I rovi avevano ricoperto tutto e sfondato i tetti. Pioveva dentro, sopra gli affreschi di fine ‘600”.

Fortunatamente salvi, diventeranno la cornice del ristorante che, proprio in questi spazi, aprirà a settembre, insieme alle 38 camere dell’hotel e all centro benessere. Il castello, infatti, ancora una volta ha cambiato vita.

Si chiama Vistaterra ed è il tentativo di rilancio di tutta l’area della Serra Morenica di Ivrea e, più in generale, del Canavese, attraverso offerta turistica e non solo. Il progetto, infatti, si articola su recupero del patrimonio architettonico del castello, e su produzione agricola, patrimonio naturale e armonia con la terra. Novantamila metri quadrati di agriparco, un’oasi fatta di vigneti, un bosco di bambù, orti e frutteti, ricavata in quelli che un tempo erano i vivai voluti da Adriano Olivetti e progettati dall’architetto del paesaggio Pietro Porcinai. E poi c’è il biolago, oggi ancora gelosamente nascosto dalla vegetazione ma che presto sarà aperto al pubblico: “Duemilacinquecento metri quadrati d’acqua, resi balneabili dalla fitodepurazione, cioè filtrati dalle piante e da un sistema di ghiaie”, spiega l’architetto.

Ma, soprattutto, negli spazi del castello ci sarà spazio per i produttori locali: “Ci piacerebbe far nascere delle filiere: vorremo ad esempio fare il pane, e quindi ci rivolgeremo a molini per farine o lieviti. Ma anche prodotti caseari, birre, marmellate – conclude Manina – per coinvolgere le realtà che cercano di lavorare sul territorio a chilometro zero e rispettando l’ambiente”.

MARCO GRITTI

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