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Racconti dal carcere. Lo spettacolo teatrale in scena alle Vallette

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L’esperienza di laboratorio teatrale con i detenuti della Casa Circondariale Lorusso e Cotugno di Torino prosegue ormai da 25 anni. In questi giorni, fino al 16 maggio, va in scena lo spettacolo METÀ – Meditazioni sul Cantico dei Cantici, realizzato da “Teatro e Società” con la regia di Claudio Montagna e il sostegno della Compagnia di San Paolo

In sala oltre 150 persone, che ascoltano rapite lo spettacolo di quasi sessanta minuti proposto dai detenuti. Uomini e donne che vivono un’esperienza personale e collettiva allo stesso tempo, che salgono sul palco divisi, lontani, e che a poco a poco si avvicinano, tra loro e al pubblico. Raccontano la loro storia, la vita vissuta dietro le sbarre e la difficoltà di superare la lontananza. Da figli, fidanzate, mogli e affetti che li aspettano fuori dopo tanti anni, come nella “Lettera a un’amica che non potrò incontrare prima del 2037”. Un senso di disagio che riguarda la mancanza fisica e psicologica dell’altro, il calore di un abbraccio e il gioco con i propri bambini al parco. Un racconto che mette a nudo i sogni e le speranze di chi vede la propria libertà condizionata a regole, non sempre rispettate. “Dal punto di vista normativo non credo sia cambiato nulla in questi 25 anni nel rapporto con le famiglie all’esterno – dice Claudio Montagna – si tratta di un tema molto difficile. Non so niente, so solo ciò che ho iniziato a intuire, i vari livelli di dolore che queste persone provano non me li hanno raccontati, li ho visti in parte lavorando con loro. Far fare i compiti al figlio durante il colloquio, andare a un funerale in manette e arrivare quando la bara è già chiusa sono solo alcuni esempi che ho ascoltato da loro”. Il tema è complesso, ma soprattutto molto ampio.

Le studentesse di Filosofia del Diritto

“Quest’anno abbiamo coinvolto anche le donne. Si tratta di una grande novità, è stato complicato iniziare ma è stato accolto molto bene dalle detenute” aggiunge il regista. I due gruppi si sono incontrati solo per le prove generali, alle quali si è aggiunto anche un gruppo di studentesse del corso di Filosofia del Diritto al primo anno dell’Università di Torino, per fare la parte scomoda: chiedersi se sia giusto garantire diritti a chi ha sbagliato, discutere tra loro, domandarsi cosa accadrebbe se nel carcere ci fosse la loro madre. Pronunciare frasi scomode, come “Ma quale libero e libero? Certe persone bisognerebbe rinchiuderle e buttare via la chiave, altro che concedergli del tempo per stare con i propri cari!”. Giulia Tommasi, una di loro, racconta: “Inizialmente avevamo pareri molto diversi tra noi, ma alla fine del percorso posso dire che siamo arrivate tutte a pensare ‘mi dispiace pronunciare quelle parole d’attacco in scena’. Abbiamo lavorato con loro, soprattutto alle prove generali, e questo ha cambiato alcuni nostri pensieri”.

Sul palco anche un gruppo di acrobati accompagna la piece con capriole e giravolte, prendendo per mano i detenuti e le loro storie.

Chiusi e privati dei sentimenti.
Tra noi e le persone che amiamo ci sono delle sbarre che ci chiudono.
Chiudono noi e chiudono loro.
Qui, tra quattro angoli, i nostri tempi diventano un misto caotico di desideri.
E non c’è niente che sciolga questo caos.
Così, nell’abbandono forzato,
lontani,
in chi ha una carcerazione molto lunga,
cresce il timore di non farcela a uscire bene,
anche la dignità viene meno,
e si rischia di uscire incapaci, indegni, dimezzati.
Dimezzati.
(Prologo dello spettacolo METÀ)
CAMILLA CUPELLI

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