Il destino di Alitalia si decide in questi giorni. Il 2 maggio si riuniranno l’assemblea dei soci e il consiglio d’amministrazione per deliberare in merito al commissariamento. Si tratterebbe dell’ultimo epilogo, dopo l’esito negativo del referendum dei dipendenti, di una lunga storia di manovre sull’orlo del baratro, che più volte hanno portato Alitalia a rischiare il fallimento. Ma come si è arrivati a questo punto?
La storia. La “nuova” Alitalia, posseduta per il 49% da Etihad e per il 51% da Cai attraverso la controllata MidCo S.p.A., esiste dal 2015. Si tratta di quel che resta della compagnia che esisteva in precedenza. Da sempre controllata con una quota di maggioranza dallo Stato, già nel 2006 il governo Prodi aveva tentato di privatizzarla. La gara si era risolta però con un buco nell’acqua dopo che sempre più concorrenti si erano ritirati, preoccupati dai problemi economici che erano seguiti al fallimento della Joint Venture con KLM e, soprattutto, dopo il rifiuto da parte del governo Berlusconi II di procedere a una fusione con Air France nel 2001.
Dopo una seconda gara, nel 2008 Alitalia approva l’offerta di Air France-KLM per l’acquisto della compagnia in cambio di 1,7 miliardi di euro. L’offerta arriva in periodo di campagna elettorale e diventa argomento di dibattito: Silvio Berlusconi non garantisce che proseguirà l’accordo per tentare di preservare “l’italianità” della compagnia, affermazione che non permette all’allora presidente del consiglio Prodi di concludere le trattative. Di conseguenza, i francesi ritirano l’offerta d’acquisto. Segue un decreto legge che concede ad Alitalia un prestito ponte da 300 milioni di euro da restituire entro l’anno, che sarà convertito dal governo Berlusconi IV eletto nel frattempo, in patrimonio netto dell’azienda.
La svolta arriva a fine 2008 con l’ingresso in scena della Compagnia Aerea Italiana di Roberto Colaninno, con azionisti principali Intesa Sanpaolo, Poste Italiane e UniCredit. Dopo una lunga serie di trattative coi sindacati riesce a trovare la quadratura del cerchio e Cai acquista tutti gli asset di Alitalia, Air One Technic e EAS, impegnandosi a riassumere oltre 12mila lavoratori della vecchia Alitalia. Per lo Stato, la vicenda Alitalia ha comportato spese per 3200 milioni di euro, tra penali per la mancata vendita ad Air France, prestito pronte e debiti rimasti alla Bad Company non rilevata da Cai.
Cai gestisce la compagnia di bandiera fino al 2015, quando con una joint venture con Etihad dà vita alla nuova Alitalia. La nuova compagnia riceve tutti gli asset operativi da Cai. Dall’epoca, Alitalia ha accumulato perdite: 199 milioni di euro nel 2015, 600 milioni nel 2016.
Il referendum e le conseguenze. Il bilancio in rosso ha portato alla proposta, ad aprile, di un accordo che evitasse il fallimento. Le condizioni prevedevano 980 esuberi, tagli agli stipendi e diminuzione delle ferie. La proposta è stata sottoposta ai dipendenti con un referendum il 24 aprile ed è stata bocciata col 67% di no.
Ora, con un’importante mancanza di liquidità, le strade praticabili sono rimaste poche. Intanto, se oggi verrà approvata l’amministrazione straordinaria il ministero dello Sviluppo dovrà scegliere uno o tre commissari. Sembra essere già certo, per questo incarico, il nome dell’attuale presidente Luigi Gubitosi.
Esclusa dal governo l’ipotesi nazionalizzazione, l’esecutivo guarda con preoccupazione al destino della compagnia di bandiera: “il fallimento sarebbe uno shock per il Paese”, ha dichiarato il 30 aprile il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Restano ora possibili o il coinvolgimento di nuovi soci che affianchino le banche già coinvolte oppure la cessione in toto a un concorrente: nei giorni scorsi si vociferava del possibile interesse di Lufthansa, ma la compagnia tedesca ha smentito. Intanto, il governo fornirà un prestito ponte che viaggia intorno ai 500 milioni di euro. Se nessuna delle due ipotesi si realizzasse, resterebbe solo il fallimento e il conseguente “spezzatino”, cioè la cessione degli asset.