Il giornalista Gabriele Del Grande dopo dieci giorni di detenzione riesce a rompere il muro del silenzio, telefona alla moglie e annuncia il suo sciopero della fame. Il mondo culturale e politico italiano si mobilita in solidarietà con l’autore di “Io sto con la sposa”.
Il reporter da dieci giorni si trova in Turchia nel centro di identificazione ed espulsione di Muğla. Mentre è stata respinta dalle autorità la delegazione formata dal viceconsole di Ankara e da un legale turco di fiducia, numerose manifestazioni sono state organizzate nelle piazze italiane per chiederne la liberazione immediata. Oggi a Torino la prima mobilitazione convocata dal gruppo Concertino dal balconcino in piazza Palazzo di Città. I manifestanti si sono radunati attorno a una grande scritta “Io sto con Gabriele”, ma l’Amministrazione non ha consentito di esporre lo striscione sulla facciata del palazzo comunale. Domani è prevista una nuova mobilitazione che coinvolgerà anche Milano, Venezia, Lucca e Trento organizzata dalla pagina facebook dedicata al documentario di Gabriele, presentato alla Mostra del cinema di Venezia. “Hanno sequestrato il mio telefono e le mie cose, sebbene non mi venga contestato nessun reato. La ragione del fermo è legata al contenuto del mio lavoro”: sono state le prime parole di Del Grande dopo l’arresto al confine con la Siria nella regione di Hatay. Alle mobilitazioni spontanee ha fatto eco l’iniziativa lanciata dal presidente della Commissione diritti umani al Senato Luigi Manconi.
In un paese che ha il primato per numero di giornalisti in carcere, quello di Gabriele Del Grande è uno dei numerosi casi di attacco alla libertà di stampa perpetrato dalla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. La situazione, già critica nel 2014, quando la Freedom House aveva per la prima volta classificato il paese come “non libero”, è peggiorata dopo il colpo di stato del 15 luglio scorso con un bilancio di oltre due mila giornalisti senza lavoro, 150 in prigione, 160 aziende del settore chiuse, 8 mila siti internet bloccati. Dopo la vittoria del referendum costituzionale che ha concesso ad Erdoğan poteri più ampi anche in ambito giudiziario, è difficile sperare in un’inversione di tendenza.